martedì 5 maggio 2009

Alcuni fatti sull’incendio Thyssen Krupp

INDICE
Introduzione
1. Documenti consultati: analisi commentata
1.9 Deduzioni riassuntive dalle dichiarazioni e testimonianze
2. La chiusura dello stabilimento e il funzionamento in condizioni borderline
3. Ricostruzione dell’incidente e come si sarebbe potuto evitarlo
4. Conclusioni
5. Considerazioni aggiuntive: analisi non tecnica
Appendice 1: descrizione della Linea 5 TKTO
Appendice 2: rilievi fotografici in occasione del sopralluogo effettuato presso la TKTO


Introduzione
In seguito all’incendio divampato il 6/12/2007, sulla linea di ricottura e decapaggio dello stabilimento Thyssen-Krupp di Torino (d’ora in avanti TKTO), che, inizialmente, causò la morte di 1 lavoratore, l’ustione di altri 7 di cui 6 in modo così grave che decedettero nei giorni seguenti, il sottoscritto prof. ing. Massimo Zucchetti, ordinario di Sicurezza e Analisi di Rischio presso il Politecnico di Torino, è stato nominato Consulente Tecnico di Parte Civile nel Procedimento Penale in corso. La presente relazione [scarica il pdf] costituisce un iniziale contributo all’analisi.


1. Documenti consultati: analisi commentata. Tra i documenti consultati dal sottoscritto nella sua attività di consulenza, tra quelli di maggior rilievo c’è l’analisi dei rischi datata 6/6/2005 che la TKTO aveva redatto ai sensi del D. Lgs. 334/99. L’azienda, difatti, ricade nell’elenco di quelle cosiddette “a rischio d’incidente rilevante”. Le parti importanti di questo documento, che deve superare di gran lunga per i livelli di approfondimento e dettaglio quello che qualunque azienda deve elaborare ai sensi del D. Lgs 626/94, relativi alla valutazione del rischio incendio, saranno ripresi in seguito. 1.1 Thyssen Krupp Torino, Piano di emergenza ed evacuazione, 30/6/2006 In caso d’incendio si legge: “Se la persona è istruita al servizio antincendio deve attivarsi direttamente utilizzando l’attrezzatura antincendio posta in prossimità del luogo dell’evento... se l’incendio appare già di palese gravità deve: chiamare telefonicamente la sorveglianza, al n° 6249 dando le seguenti informazioni ...”. Nel seguito il documento descrive le modalità d’intervento della squadra d’emergenza, coordinata dal capo turno manutenzione che tra l’altro deve: “6.2.3 … omissis… fare impiegare, all’addetto all’ecologia intervenuto, ai manutentori disponibili e al personale dell’impianto addestrato allo scopo, le attrezzature antincendio esistenti in loco e/o trasportate sull’automezzo”. È di rilievo come, sia in questo documento, sia negli altri esaminati, non si dia alcuna informazione né tecnica né qualitativa di cosa s’intenda per “se l’incendio appare già di palese gravità”. Tale lacuna conoscitiva inficia pesantemente l’operatività delle persone che avessero dovuto trovarsi a gestire una emergenza.

1.2 Axa, “Loss Prevention Report” datato 26-06-07
Si tratta del report prodotto dalla compagnia di assicurazioni a seguito di visita ispettiva effettuata dall’Ing. Brizzi. La visita è riferita all’intero complesso industriale di Torino, ed ha lo scopo di esaminare le zone a rischio incendio delle linee incluse le sale quadri, sale trasformatori, locali con centrali idrauliche, dando raccomandazioni su come minimizzare i rischi, dove installare od implementare i sistemi esistenti, come organizzare i piani d’emergenza, come operare sul personale e sulla frequenza dei test e delle prove dei sistemi esistenti. In particolare, per le linee 4 e 5, si fa notare come le aree interessate dagli aspi svolgitori ed avvolgitori siano aree a rischio incendio e necessitano di impianti di spegnimento automatici a sprinkler. Questi impianti sono del tutto mancanti.

1.3 Axa, “Special visit report” datato 31-07-07
Il documento è il rapporto della visita effettuata dall’Ing. Brizzi e dall’Ing Uwe Weber, che operano in qualità di Risk Engineer per la compagnia assicuratrice AXA, allo scopo di valutare lo stato di sicurezza dello stabilimento TKTO. La visita comprende le linee di decapaggio 4 e 5 ed ha lo scopo di stabilire gli interventi necessari per ridurre la franchigia applicata da Axa in caso d’incendio. A pag. 4 si segnala come le sezioni d’entrata e d’uscita siano munite di sistemi di movimentazione idraulica e siano prive di protezione a sprinkler.

1.4 VV.F. Torino, relazione d’intervento, 12/12/2007
Si descrive l’intervento di soccorso effettuato presso lo stabilimento TKTO a seguito di chiamata giunta alle ore 1.03. Gli intervenuti giungevano sul posto mentre il personale sanitario già intervenuto provvedeva a trasportare in barella tre ustionati gravi. Al momento dell’intervento le fiamme avvolgevano la struttura in metallo della linea fino alla sommità. Gli scriventi constatavano che la pressione idraulica dell’impianto interno allo stabilimento “era insufficiente alla produzione della schiuma”.

1.5 VV.F. Torino, prescrizioni a norma dell’art. 20 del D.L.vo n. 758 del 19.12.1994
Nel documento si fa riferimento alla situazione riscontrata nello stabilimento TKTO, in particolare, con riferimento alla squadra di emergenza operante durante l’incendio occorso il 06/12/2007 si rileva che il responsabile dell’emergenza non aveva frequentato il corso di formazione per addetti antincendi di cui all’allegato IX al D.M. 10.03.1998, né tantomeno aveva sostenuto l’esame di idoneità tecnica di cui all’allegato X al citato D.M. 10.03.1998. Dei tre componenti della squadra di emergenza (due unità dell’ecologia ed un manutentore elettricista) solo due unità avevano completato il corso di formazione mentre nessuno dei tre aveva sostenuto il previsto esame per l’idoneità tecnica di cui sopra (art. 22 comma 5 D. Lgs. 626/94).
Dalle dichiarazioni rese spontaneamente dalle persone sentite emerge chiaramente un deficit sostanziale dei responsabili della squadra d’emergenza per quanto riguarda la formazione e i criteri di valutazione operativa per la gestione di un possibile evento incidentale in stabilimento, e più precisamente: relativamente al punto 6.2.4. del documento “PRGQ-241-REV. 0 PIANO DI EMERGENZA ED EVACUAZIONE DELLO STABILIMENTO DI TORINO” facente parte degli atti acquisiti dalla Procura, i responsabili suddetti, circa il criterio di valutazione della “palese gravità” di un incendio, o se l’azienda ne avesse mai fornito uno, hanno risposto evidenziando una disarmonia ed una discordanza di giudizio tale da far desumere una evidente mancanza od omissione nella formazione delle persone addette alla gestione dell’emergenza, così da porre in pregiudizio la gestione stessa dell’emergenza e la sicurezza degli operatori. In effetti emerge chiaramente, anche dall’analisi di alcuni incidenti, che vi era la tendenza generalizzata ad affrontare situazioni di rischio particolarmente elevato in modo autonomo e sottovalutandone molte volte i possibili sviluppi.

1.6 VV.F. Torino, verifica della funzionalità degli estintori in sequestro, 11/2/2008
Su incarico del PM, l’Ing. Bennardo dei VV.F. ha verificato la funzionalità degli estintori sequestrati presso la Linea 5 dal sottoscritto Ing. Marmo e dal Personale ASL 1 in data 7/12/2007. L’Ing. Bennardo termina la relazione con le seguenti conclusioni:
“L’analisi dei risultati, delle prove di funzionalità effettuate 32 estintori, si può riassumere di seguito in:
a) n. 3 estintori risultano completamente vuoti, bruciati e avevano il disco di rottura perforato; si può ragionevolmente ipotizzare che sono stati esposti all’incendio, non si può dire nulla sulla loro funzionalità;
b) n. 2 estintori risultano completamente vuoti, uno bruciato e l’altro con tracce di bruciatura, avevano il disco di rottura integro; si può ragionevolmente ipotizzare che sono stati esposti indirettamente all’incendio (cioè a temperature inferiori a 60°C), non si può dire nulla sulla loro funzionalità;
c) n. 3 estintori, pur avendo la spina di sicurezza in metallo inserita, non avevano il sigillo di sicurezza; possedevano una carica del 3%, del 60% e del 70%, quindi i 3 estintori risultano non funzionanti, non si può dire nulla su un eventuale parziale utilizzo precedente; infatti la mancata presenza di effetti termici esterni o tracce di fumo o olio fa ragionevolmente ipotizzare che non siano stati usati la notte dell’incendio, poiché difficilmente l’utilizzatore avrebbe rimesso la spina all’interno.
d) n. 9 estintori avevano la spina di sicurezza in metallo inserita e il sigillo sicurezza integro, di questi 4 erano scaduti ed avevano una carica media dell’84%, 5 erano validi ancora e avevano una carica media dell’83,5%; escludendo il quinto estintore che era il carrellato e aveva un valore del 7%, tutti gli 8 estintori risultano non funzionanti si può escludere il parziale utilizzo precedente; rimane il caso particolare il carrellato di cui si presume del parziale utilizzo precedente, anche in considerazione della quantità di carica nominale ed effettiva rimasta, della data dell’ultima verifica, 30/10/07, e del fatto che l’impiego non sarebbe passato facilmente inosservato.
e) n. 3 estintori sporchi d’olio o bruciati senza la spina inserita e senza il sigillo di sicurezza, avevano una carica media dell’20%, quindi i 3 estintori risultano non funzionanti, non si può dire nulla su un possibile parziale utilizzo precedente; la presenza di effetti termici esterni o olio fa ragionevolmente ipotizzare che siano stati usati la notte dell’incendio.
f) n. 12 estintori senza la spina e senza il sigillo di sicurezza, avevano una carica media dell’25,5%, risultano non funzionanti, non si può dire nulla su un possibile parziale utilizzo precedente; la mancata presenza di effetti termici esterni o tracce di fumo o olio non può far escludere che siano stati usati la notte dell’incendio.
Inoltre:
g) 13 etichette su 32, pari al 41% di quelle esaminate, non sono leggibili.
h) 12 estintori avevano il controllo semestrale scaduto sui 18 estintori dotati di cartellino.”

1.7 ASL 1 Torino, annotazione di polizia giudiziaria, 31/1/2008
In merito al piano d’emergenza ed evacuazione della TKTO, si legge:
“Punto 5.2 (in caso di incendio) L’intervento immediato in caso di incendio è compito demandato a colui che lo avvista, se è “persona istruita al servizio antincendio” e se l’incendio non è di “palese gravità”. Non vi è alcuna indicazione su ciò che deve fare una persona non istruita al servizio antincendio e non è definito l’incendio di “palese gravità”. A questo proposito si rileva che molti ma non tutti i lavoratori sono stati formati ed addestrati per intervenire in caso di incendio che la “palese gravità” dell’incendio è variamente interpretata, come emerge dalle sommarie informazioni acquisite da numerosi dipendenti dell’azienda nonché dai responsabili dell’emergenza.
In merito alla formazione del personale in materia di antincendio si legge:
“Allo stato dei fatti risulta che nessuno dei partecipanti ai corsi di formazione ha conseguito l’attestato di idoneità tecnica di cui all'art. 3 della legge 28 novembre 1996, n. 609 in quanto nessuno ha sostenuto l’esame di fronte alla commissione di cui al punto C) della circolare del Ministero Interno del 12 marzo 1997 prot.770/6104.
Confrontando l’elenco prodotto dalla società contenente i nominativi delle persone presenti e coinvolte a vario titolo nell’incidente con l’elenco delle persone formate alla lotta antincendio dal 2001 al 2007 è emerso quanto segue:


PERSONE PRESENTI AL MOMENTO DELL’EVENTO LESIVO


PERSONE INTERVENUTE DOPO L’EVENTO LESIVO IN SOCCORSO DEGLI INFORTUNATI



Da quanto emerso nel corso degli accertamenti si può quindi affermare che numerose persone che avevano compiti specifici in materia di prevenzione incendi e lotta antincendio, rappresentate sia dagli operai addetti alle linee di produzione che per primi dovevano intervenire se vedevano un incendio sia lavoratori che facevano parte della squadra di emergenza o addirittura i loro responsabili (come Rocco Marzo) non hanno ricevuto alcuna formazione in materia antincendio.”

1.8 Dichiarazioni e testimonianze
Dall’esame delle dichiarazioni e testimonianze riportate nella CONSULENZA TECNICA SULLE CAUSE DELL’INCENDIO AVVENUTO IL 6/12/2007 NELLO STABILIMENTO THYSSENKRUPP DI TORINO, Torino, 19/2/2008, eseguita da Ing. Ugo ALLAMANO, Ing. Luca MARMO, e Prof. Norberto PICCININI, Procedimento N° 31095/07 R.G.N.R., si mette in evidenza quanto segue:

1.8.1 Barbetta Piero, Il dichiarante lavora presso lo stabilimento dall’anno 1996, come primo addetto alla linea 4, egli organizzava 5 o 6 persone lungo la suddetta linea.
“Ho effettuato un corso di formazione antincendio svolto presso l’azienda senza esami finali, ho partecipato a riunioni periodiche mensili tenute a volte dal capo turno o dal responsabile di sicurezza o entrambi. In queste riunioni si chiariva il comportamento da tenere lungo la linea in caso di emergenza tipo: incendi, spandimenti di acidi, infortuni. In caso di principio di incendio le indicazioni fornite dal responsabile della sicurezza erano quelle di intervenire con i mezzi a disposizione ed in caso in cui non si riusciva a venirne a capo dovevamo chiamare la squadra di emergenza attraverso il telefono interno in dotazione ad ogni pulpito, e non direttamente i Vigili del fuoco; a questa chiamata provvedeva la squadra di emergenza tramite il posto di guardia o come eventualmente indicato nella procedura interna. Vi erano delle perdite di olio idraulico nella linea 4 che potevano essere più o meno consistenti. Alcune perdite erano asciugate da noi in quanto la ditta delle pulizie “Edileco” ci lasciava dei sacchi di segatura proprio allo scopo. Le perdite erano generalmente in prossimità dei flessibili, nei raccordi dei tubi rigidi, presso i pistoni ed anche nei cilindri. Ci accorgevamo delle perdite se erano a vista in generale, oppure, quando il livello dell’olio nella centralina scendeva a tal punto da dovere effettuare il rabbocco, ciò si faceva premendo un pulsante che metteva in moto una pompa che portava l’olio al livello originario. Alcune volte le perdite erano talmente grandi che interessavano la parte alta del macchinario e raggiungevano la cabina del pulpito, di conseguenza bloccavo la macchina in attesa che arrivasse il personale del pronto intervento meccanico e la ditta per aspirare il volume di olio idraulico sparso. Capitava che la squadra non poteva intervenire subito in quanto impegnata in un'altra linea per effettuare altre riparazioni come anche quella delle pulizie. La frequenza dei principi di incendio era di un principio d’incendio a turno in media ed erano localizzati nella sezione entrata zona saldatrice, difatti avevamo sempre a portata di mano degli estintori per spegnere il principio di incendio. L’intervento della squadra di emergenza antincendio non avveniva quasi mai: la maggior parte delle volte intervenivamo noi operai. Di conseguenza avvisavamo il capo turno di quanto accaduto che inoltre era responsabile per il cambio degli estintori, come da procedure verbaliI
.

1.8.2 Beltrame Roberto, Il dichiarante è responsabile di manutenzione operativa della Thyssen-Krupp Acciai Speciali Terni Spa stabilimento di Torino.
Se il rotolo non era ben laminato (non era dritto) oppure se non veniva inserito al centro mandrino capitava che un bordo del nastro andasse a sfregare contro la carpenteria con produzione di calore (evento non infrequente)... ...Se una partita di nastri esce dalla laminazione con problemi di forma (non perfettamente dritti), evento che si poteva verificare e ultimamente capitava spesso, succedeva che l’intera partita di nastri di quella lavorazione poteva grattare sulla carpenteria della linea 5 (il trattamento sulla linea 5 è successivo alla laminazione)...
... Un rotolo poteva partire in posizione centrata e durante la lavorazione ritrovarsi a sfregare contro la carpenteria, evento non prevedibile eccetto che nei primi e ultimi 100 metri quando ci si poteva aspettare un comportamento anomalo. Per decentrare il mandrino con i sistemi in dotazione della macchina non era necessario fermare la sezione linea (il nastro continuava a scorrere), se invece si rendeva necessario spostare il rotolo sul mandrino era necessario fermare la sezione di entrata.
Il rotolo di nastro avviato alla lavorazione sulla linea 5 è protetto da una pellicola di carta che viene raccolta su tamburi durante lo svolgimento del nastro. Se la carta in riavvolgimento si rompe interviene un dispositivo (fotocellule) che ferma la sezione. La protezione (fotocellule) è escludibile a discrezione degli operatori per consentire lo svolgimento di nastri di riposo (nastri danneggiati sulla superficie che sono utilizzati in occasione di fermate linea programmate, ad esempio per manutenzione). Il comando di esclusione si trova sul pulpito dell’aspo interessato.
Nel caso particolare dell’incidente, dal rapportino di produzione si deduce che qualche ora prima dell’inizio lavorazione del nastro in lavorazione al momento dell’incidente è stato svolto un nastro con carta impressa. La carta rimane impressa all’acciaio del laminato quando sull’ultimo passo della laminazione il nastro è troppo caldo. In questo caso il passaggio sulla linea 5 di un nastro con carta impressa avviene senza rimuovere la carta o rimovendola per quel che si può. La carta che rimane adesa al nastro percorre la linea e se si stacca lungo il percorso rimane sull’impianto. Sul rapporto di produzione antecedente all’incidente risulta una fermata per pulizia impianto. La linea 5 presentava solitamente richieste di intervento dovute a parti di usura (tavole in rexilon su cui cammina il nastro, i rulli strizzatori) da sostituire.
L’ultimo intervento importante, che prevedeva la sostituzione degli elettrodi al piombo sulla linea 5, è stato fatto nel mese di agosto in quanto non si poteva posticipare senza compromettere la produzione. Dal giugno 2007, è continuata la manutenzione ordinaria ma i grossi interventi non si sono più fatti in vista della chiusura dello stabilimento per il 30 di settembre 2008. Dalla decisione della chiusura dello stabilimento (giugno 2007), il personale da me coordinato è diminuito per dimissioni e ricollocazioni in altre azienda:
- da 4 a zero capiturno. Circa quindici giorni prima dell’incendio sono rimasto senza capi turno, (il capoturno ha la funzione di coordinare la sua squadra di manutenzione elettromeccanica ed è il coordinatore della squadra di emergenza che si occupa anche dell’emergenza incendi);
- da 5 manutentori elettrici a 3;
- da 4 manutentori meccanici a 2.
Nell’ultimo mese, data la carenza del personale, la manutenzione meccanica era stata affidata all’Impresa Biesse di Settimo T.se, che già aveva la manutenzione programmata, affiancata da un meccanico esperto. Per la manutenzione elettrica ce ne occupavamo noi.
Per il coordinamento della squadra antincendio, prima effettuato dal capo turno, il compito, quindici giorni prima dell’incendio, è stato assegnato al capo turno di produzione, diventato ormai unico per turno per la diminuzione degli impianti di esercizio.
In vari punti dello stabilimento, sui quadri di comando (pulpiti) e nella sala di controllo (pulpito centrale) sono presenti dei pulsanti di emergenza che consentono di chiudere le elettrovalvole di quasi tutti i circuiti oleodinamici.
Il pulsante di emergenza però non toglie l’alimentazione elettrica alla pompa oleodinamica , quindi l’olio rimane sempre in pressione fino ai banchi valvole anche in caso di attivazione dei nostri pulsanti di emergenza...
Capitava che il nastro sfregasse contro la carpenteria con produzione di scintille e a volte anche con conseguente principio d’incendio; la carta era la parte più a rischio rispetto allo sviluppo di incendio in quanto infiammabile e spesso oleata. In stabilimento non esiste una sirena per allarme, per chiamare la squadra antincendio occorre usare il telefono componendo il numero della portineria. Solo le cabine elettriche e le gallerie hanno sistemi di rilevazione automatica incendi con allarme collegato alla portineria e agli impianti ecologici. Nel luogo ove si è verificato l’incendio non vi era sistema automatico di rilevazione incendi. Da segnalazione dei ragazzi componenti la squadra di intervento, quella notte la squadra di emergenza non è stata attivata.

1.8.3 Boccuzzi Antonio. Il dichiarante è testimone oculare della vicenda, egli svolge le mansioni di operaio e il giorno 6/12/07 era in servizio sulla Linea 5.
Al momento dell’incendio all’aspo uno c’era un nastro in svolgimento in alto, mentre all’aspo due, in basso, c’era un nastro già pronto in attesa di andare in saldatura. Al momento dell’incendio noi eravamo tutti all’interno della sala controllo e qualcuno ha visto delle fiamme nella zona delle spianatrice aspo due. Siamo usciti ed abbiamo preso ciascuno un estintore. Dopo essermi avvicinato io ho visto le fiamme all’interno della spianatrice e sotto. Tornando alle fiamme che si trovavano sul nastro nel tratto compreso tra i rulli della spianatrice, nel momento in cui le ho notate potevano raggiungere circa dieci centimetri di altezza. La spianatrice al momento era aperta.
Ho tentato di spegnerle con il primo estintore che ho trovato (preciso che si tratta di estintori a CO2), che però era privo di sigillo e pressoché scarico, tanto che non sono riuscito a spegnerle. Ritengo che tra i rulli della spianatrice stesse bruciando della carta perché già nel pomeriggio avevo rinvenuto un discreto quantitativo di carta nell’avvio rulli dell’Aspo uno.
Le fiamme si sono poi propagate alla carpenteria metallica che si trova all’esterno della spianatrice, con rapidità, in qualche secondo appena, dirigendosi verso l’alto. In quel momento non so cosa avvenisse alle fiamme a terra.
Quando mi sono reso conto di non poter spegnere le fiamme con l’estintore che era vuoto, mi sono allontanato per prendere la manichetta dell’acqua: in quel mentre alcuni miei colleghi tra cui Scola tentavano di spegnere a loro volta le fiamme con altri estintori, che non so se fossero carichi o meno. Io ho avvitato la manichetta che era già srotolata, ho guardato verso l’incendio ed ho visto che Scola aveva già in mano la lancia e si trovava davanti alla spianatrice all’altezza del piccolo pulpito di comando; in quel momento ricordo di aver visto che le fiamme erano notevolmente aumentate, divampavano anche a terra al di sotto della spianatrice e davanti ad essa. Preciso che la zona sotto la spianatrice è generalmente molto sporca di olio per i continui sgocciolamenti.
Ho quindi aperto il rubinetto dell’acqua quando i colleghi mi hanno dato l’Ok, ho visto l’acqua gonfiare la manichetta per un breve tratto, e subito ho sentito una forte esplosione provenire dal fuoco. Guardando verso l’alto ho visto arrivare le fiamme che sembravano un’onda marina alta circa sette metri che si dirigeva verso il muro del capannone dove si trova l’attacco per la manichetta e quindi anche verso di me: siccome il fronte era molto alto mi ha raggiunto e mi sono infatti bruciato la mano che era appoggiata al rubinetto stesso. Ho visto quest’onda alzarsi e ricadere sui miei colleghi, mi è parso che arrivasse dalla zona della spianatrice.
Il rumore che ho sentito e che prima ho definito esplosione era un rumore sordo quasi come si trattasse più correttamente di un boato tipo quello che si sente all’accensione di uno scaldaacqua a gas ma molto più forte.
Quando sono tornato indietro alla linea cinque si sono verificate altre esplosioni (in totale due o tre) più piccole rispetto alla prima e più acute, dei veri e propri scoppi.
Per quanto riguarda criteri e procedure di intervento antincendio, non ricordo chi ci abbia dato disposizioni all’inizio, per me ormai era prassi lavorando in azienda da tredici anni. Per gli interventi di non particolare gravità operavamo da soli, per quelli più seri avremmo dovuto rivolgersi al servizio antincendio. La valutazione della gravità era comunque rimessa alla nostra discrezionalità. Confermo che dopo aver avviato la linea ci siamo portati tutti nel pulpito principale, Marzo era con noi, Scola è arrivato per ultimo. Non so dire con certezza se l’incendio sia stato visto da dentro il pulpito o se ci è stato comunicato da Scola mentre stava entrando. Ci siamo portati immediatamente fuori e confermo di aver visto un principio di incendio a terra e qualche fiammella nella spianatrice, non escludo però che l’incendio avesse interessato anche la zona del Pinchroll Aux ASPO 1 in quanto i miei due colleghi Demasi e Rodinò erano saliti sulla scaletta.”

1.8.4 Brizzi Andrea, Il dichiarante è Risk Engineer per la AXA assicurazioni, ed ha effettuato diverse ispezioni presso gli stabilimenti Thyssen-Krupp Torino e Terni. Egli dichiara:
Preciso che nel mio report vi era la raccomandazione di installare un sistema di spegnimento automatico sia sulla linea 4 sia sulla linea 5, in particolare la raccomandazione 2007.10 prevede l’installazione sulle centraline oleodinamiche e la raccomandazione 2007.09 sulle sezioni di decapaggio. Nella linea 5 le centraline oleodinamiche sono in corrispondenza dell’aspo avvolgitore e dell’aspo svolgitore. Mentre stavo lavorando al report sono stato informato del fatto che lo stabilimento di Torino sarebbe stato chiuso (l’ho saputo l’11 giugno 2007 dal mio responsabile Marcello Forte a mezzo comunicazione verbale) ho iniziato a dubitare ma ho continuato a scrivere il rapporto.
Successivamente, il 4 luglio 2007, in occasione di un meeting a Terni per discutere di alcuni progetti in corso presso quello stabilimento, ho parlato della prossima chiusura dello stabilimento di Torino ed ho chiesto quali erano i programmi per le misure antincendio relative a tale stabilimento. Mi è stato risposto che era previsto lo spostamento delle linee da Torino a Terni e che gli interventi relativi alle raccomandazioni dell’assicurazione sarebbero stati considerati in occasione di tale trasferimento...
Con riferimento alle specifiche tecniche di protezione i progetti giunti dalla Thyssenkrupp sono in linea con le nostre indicazioni eccezion fatta per le cabine elettriche per le quali è previsto esclusivamente un impianto di rivelazione incendi e non anche quello di spegnimento. La distinzione fondamentale tra rivelazione e estinzione è che la rivelazione dà solo l’allarme e l’estinzione fa lo spegnimento. L’impianto sprinkler classico è, poi, contemporaneamente un impianto di rivelazione e spegnimento a cui si accompagna spesso l’interblocco della macchina ovunque vi sia una possibilità di innesco dell’incendio. Nel caso della centralina oleodinamica deve essere previsto l’interblocco del macchinario. Anzi posso affermare che la misura di protezione fondamentale sulle centraline oleodinamiche è che sia installato l’interblocco del macchinario per garantire il distacco della sorgente pericolosa.

1.8.5 Canestri Fabrizio. Il dichiarante è dipendente della CMA Sistemi Antincendio.
“Effettuo un sopralluogo presso la ditta Thyssen-Krupp ogni dieci giorni, poiché il rischio d’incendio all’interno dello stabilimento è molto alto. Infatti ho personalmente potuto constatare che in prossimità delle linee produttive N° 5 e N° 4 gli estintori venivano utilizzati di sovente. Gli operai addetti alle linee sopra menzionate mi hanno riferito che spesso scoppiano dei piccoli incendi sulle linee poiché nel corso delle attività di saldatura si generano delle scintille che possono incendiare la carta impregnata di olio… ogni dieci giorni sostituivo in tutto lo stabilimento circa 30-40 estintori vuoti o parzialmente usati”. Il dichiarante ha sostituito per manutenzione circa 30 estintori il giorno 17/12/2007 ed altri i successivi 18 e 19/12.

1.8.6 Caravelli Giuseppe. Il dichiarante è stato capo turno manutenzione dal 2002 allo stabilimento Thyssenkrupp di Torino alla data del licenziamento nel novembre 2007.
“Da marzo in poi la situazione è degenerata: dai vertici in poi il personale ha iniziato a diminuire e sono mancate le professionalità specifiche. È calata l’attenzione per la sicurezza. Da quando è andato via l’ing. Lucenti non si sono più fatte le ispezioni periodiche sugli impianti. Non c’era una procedura che prevedeva di schiacciare il pulsante di emergenza in caso di incendio. Ogni persona aveva il suo modo di lavorare. Ero io il responsabile dell’emergenza e toglievo la tensione. Nel Sendzimir in effetti schiacciare il pulsante di emergenza poteva essere una soluzione, sulle linee poteva provocare anche dei danni.

1.8.7 Chiarolla Roberto. Il dichiarante è stato capo turno manutenzione allo stabilimento Thyssenkrupp di Torino.
Quando sono diventato capoturno ho ricevuto come compito ulteriore la “gestione dell’emergenza”: non ho ricevuto alcun tipo di formazione specifica sulla mansione che andavo ad esercitare. Per capire cosa si intendeva con la dizione “palese gravità”: quando ci chiamavano per l’emergenza provavamo a spegnere l’incendio con tutti i mezzi in dotazione: solo quando avevamo finito gli estintori ed avevamo provato con gli altri mezzi in dotazione (es. idranti) allertavamo la portineria che a sua volta chiamava i vigili del fuoco. Io personalmente non ho mai chiamato i Vigili del fuoco. Nessuno mi ha mai fornito indicazioni su che cosa dovessi intendere per incendio di palese gravità.

1.8.8 Cortazzi Andrea. Il dichiarante è responsabile di produzione dello stabilimento.
“il capo turno, non era più presente come figura di responsabile manutenzione negli ultimi quindici giorni prima dell’evento e l’incarico era stato dato ai capi turno di esercizio dando loro la radio e insegnando loro le procedure di attivazione della squadra.
Nell’ultimo anno sulla linea cinque, per quanto a mia conoscenza, si sono verificati tre o quattro incendi. Capitava che il nastro in lavorazione sfregava contro la carpenteria con produzione di scintille. Ricordo che alcuni incendi si sono verificati nella zona della saldatrice.

1.8.9 Di Fiore Roberto. Il dichiarante lavora all’impianto trattamento acque all’interno del servizio ecologia in qualità di primo addetto; inoltre svolge la funzione di squadra di emergenza incendi.
Noi dobbiamo intervenire comunque solo se coordinati dal capo turno manutenzione. Noi da soli non potevamo permetterci di avvisare i vigili del fuoco: l’unico che poteva prendere tale decisione era il capo turno manutenzione che era anche colui che decideva fino a dove poteva spingersi il nostro intervento. È sempre il capo turno che valuta i requisiti dell’incendio e quindi decide se sia o no di “palese gravità”. Io non so dire a cosa si riferisca questa dizione essendo compito del capo turno. La sera dell’incendio cui siamo comunque avvicinati ai luoghi perché abbiamo visto che erano coinvolti tanti colleghi. Preciso che nessuno ci aveva informato dell’assenza del capo turno manutenzione. Il capo turno sta a metà dello stabilimento dove c’è l’officina meccanica. Come addetto antincendio ho fatto un corso antincendio a Pavia di una settimana. Non ho mai seguito corsi al Comando dei Vigili del Fuoco. Mi ricordo che sono venuti loro in azienda e ci hanno fatto vedere come si usa un estintore ed altre pratiche antincendio nell’ambito del più generale corso della 626”. Ritengo di non essere stato formato a sufficienza per la mansione che dovevo svolgere: non ho idea di come si utilizzino gli estintori carrellati. La nostra squadra era la squadra ecologica che si occupava di smaltimento acidi/trattamento acque. A questa mansione era affiancata quella dell’emergenza antincendio per la quale non eravamo formati adeguatamente in quanto una settimana di corso non era assolutamente sufficiente a garantire un intervento adeguato in caso di incendio. Preciso e confermo che non sarei assolutamente in grado di utilizzare estintori carrellati a polvere e schiuma simili a quelli degli aeroporti.”

1.8.10 Ferrara Pietro. Il dichiarante è dipendente della TKTO
“Dal momento della decisione della chiusura dello stabilimento sono venute a diminuire le figure preposte che erano i capi turno, i quali predisponevano e controllavano la pulizia dell’impianto inoltre gli operai stessi, data la carenza di personale, venivano continuamente spostati di squadra al fine di coprire le figure mancanti, con la conseguenza che era prioritaria la produzione e non si riusciva a fare più le pulizie.
L’impresa interveniva solo più su chiamata da parte di un preposto dell’azienda, mentre quotidianamente la pulizia non veniva più eseguita in maniera completa e gli addetti si occupavano solo di raccogliere il più grosso.
La linea 5 dal giugno 2007 non era più in ordine nel senso che la manutenzione veniva fatta in
modo superficiale e quel tanto da consentire la produzione in attesa del trasferimento a Terni. Ad esempio la sostituzione di alcuni pezzi meccanici non avveniva con il montaggio di pezzi nuovi ma con recuperi da altre linee o spostamenti sulla linea stessa. Tre giorni prima dell’incidente abbiamo avuto la segnalazione che sulla linea 5 vi era una pompa di lavaggio mal funzionante dopo la saldatrice. Non avendone di nuove a disposizione e in attesa della riparazione di quella che ho smontato, per poter far partire la linea ho dovuta sostituire il motore della pompa rotta con quello di un’altra pompa secondaria posizionata sulla linea stessa.”

1.8.11 Lisi Leonardo. Il dichiarante opera nel gruppo coordinato dall’Ing. Donnini, egli gestisce gli ordini e le commesse riguardanti i trasferimenti degli impianti da uno stabilimento all’altro e le istallazioni di nuovi impianti. Si occupa anche di questioni legate ai sistemi antincendio su nuovi impianti o adeguamenti dei vecchi.
In merito alla linea produttiva n° 5, ubicata presso lo stabilimento di Torino, sono al corrente del fatto che la stessa dovrà subire degli interventi tecnici volti a migliorarne le condizioni di sicurezza. In particolare occorrerà realizzare: un impianto di spegnimento sulla sezione del decapaggio, sulla saldatrice e sulla sezione del Loop (area in cui potenzialmente si può verificare l’accumulo di carta impregnata da olio). Per gli interventi di cui sopra, non è stata ancora predisposta una progettazione poiché si è in attesa di trasferire la linea presso lo stabilimento di Terni e poiché non si è ancora stabilita la conformazione definitiva che la stessa dovrà assumere. Gli interventi da realizzare per la messa in sicurezza della linea n° 5 saranno analoghi a quelli già realizzati in Germania ed in programma sulle linee già presenti presso lo stabilimento di Terni. Sia a Terni che in Germania vi sono stati alcuni incendi che hanno interessato linee produttive del tutto analoghe alla linea n° 5 ubicata presso lo stabilimento di Torino. Nel 2007 ho partecipato ad un incontro in cui, il gruppo di lavoro tedesco ha illustrato ai partecipanti le modalità di innesco su una linea produttiva ubicata in Germania che svolge una lavorazione analoga della linea 5. Prima di partecipare a tale incontro, ho ricevuto dall’ing. Menecali (responsabile linee di trattamento di Terni) delle slides in cui venivano evidenziate le migliorie che si sono adottate per evitare il ripetersi dell’incidente capitato in Germania. Preciso che tali migliorie sono state stabilite da un gruppo di lavoro composto da personale italiano e tedesco specifico sulle linee di decapaggio.

1.8.12 Lucenti Camillo. Il dichiarante è stato dipendente di Thyssenkrupp Acciai Speciali Terni dal 4 Febbraio 2002 al 30 aprile 2007 come addetto sicurezza al “SAE” sicurezza ambiente ed ecologia.
“Ero ancora alle dipendenze della ThyssenKrupp quando, il 12 e 13 aprile 2007, è stato fatto il
sopralluogo da parte dell’ing. Brizzi e del risk manager tedesco per conto dell’AXA Assicurazione, c’erano anche Cafueri, Delindati, Cortazzi e Salerno. Io ho preparato una presentazione in italiano e inglese per quel sopralluogo, conteneva un riassunto sulle attività di prevenzione dello stabilimento, è quella che mi vene mostrata e che allego al verbale previa sottoscrizione. È l’ultima attività di cui mi sono occupato, non ho però visto il rapporto conclusivo dell’ispezione; ricordo che in occasione dell’ispezione erano emerse carenze nei sistemi antincendio dello stabilimento, sicuramente sulla linea 5, sull’area dei laminatoi più vecchi (sendzmir 42”), sulla nuova stazione di pompaggio antincendio installata dopo l’incendio del 2002. Durante il sopralluogo sono emerse dalla discussione le prime segnalazioni, ricordo in particolare che mi colpì il fatto che la stazione di pompaggio, nuova e ancora da collaudare, per gli standard assicurativi era già fuori norma. Con riferimento alla linea 5 ricordo che l’ing. Brizzi aveva subito evidenziato la necessità di dotarla di impianto di spegnimento automatico, che non c’era perché c’erano solo idranti, estintori portatili ed estintori carrellati. Preciso che sulla linea 5 non c’erano sistemi fissi di spegnimento, ad esclusione della cabina elettrica e della sala centraline idrauliche. Al termine del sopralluogo dell’assicurazione c’è stata, come sempre, una “final conference” in cui l’ing. Brizzi ha illustrato ai responsabili dell’azienda le carenze e le necessità di intervento, che sarebbero poi state formalizzate nel report ufficiale. La sostituzione degli estintori era molto frequente presso la ThyssenKrupp, come emerge dai dati delle spese mensili per la manutenzione, perché nelle mie ispezioni li trovavo spesso usati o comunque privi del sigillo di sicurezza (quando non hanno più il sigillo devono essere sostituiti). la valutazione di gravità dell’incendio, ed in particolare la nozione di “incendio palese” di cui si parla nel piano di emergenza era rimessa alla discrezionalità degli operatori ed al loro maggiore o minore coraggio ed intraprendenza. Per quanto a mia conoscenza le pratiche operative standard (procedura operativa MOF4W801 revisione 0, in data 29.04.2005) non prevedevano alcunché per l’eventualità di emergenze incendio sulle linee di ricottura decapaggio. L’analisi del rischio incendio su tali linee è relativamente recente, mi risulta che sia stata fatta solo dopo l’incendio di Krefeld, mentre da sempre c’era quella sul rischio chimico. Non mi risulta che fosse previsto l’uso del pulsante di arresto di emergenza per incendi.
Preciso che l’arresto di emergenza può provocare ingenti danni al macchinario ed al prodotto, e va valutato con attenzione da persona esperta.

1.8.13 Mangiarotti Enzo. Il dichiarante è gestore di manutenzione dello stabilimento TKTO, inparticolare si occupa della linea 5. "Il basso livello olio determina un allarme sul monitor centrale del pulpito, se il livello raggiunge poi il minimo interviene un dispositivo di arresto pompe con conseguente arresto linea. Quando i nastri erano fortemente intrisi di olio di laminazione lo stesso olio sgocciolava sulla linea nel punto del loopcar di entrata, allo scopo era stata messa una tettoia per proteggere il nastro finito che poteva essere danneggiato dalle gocce d’olio.”

1.8.14 Martini Giuseppe. Il dichiarante è capo turno di laminazione. "Le nostre disposizioni erano che in presenza di incendio occorreva comportarsi come segue:
- in caso di avvistamento di primo focolaio di incendio erano gli addetti di linea a dover intervenire mediante l’uso degli estintori che avevano a disposizione a bordo macchina;
- nel caso di incendio non domato che iniziava a propagarsi occorreva che gli addetti allertassero con telefono la squadra di emergenza, la quale, tramite radio, avvisava la sorveglianza e noi capi turno che, avendo ricevuto la chiamata, dovevamo recarci sul posto contemporaneamente alla squadra di emergenza. La sorveglianza rimaneva in attesa di una nostra eventuale richiesta di intervento dei Vigili del Fuoco nel caso di rischio. Competeva a noi Capi Turno, in servizio nel momento di un eventuale incendio valutare la gravità e le modalità di intervento. I manutentori venivano coinvolti da noi per gli interventi di emergenza come poteva essere il sezionamento dell’energia onde consentire l’uso degli idranti.
Solo in caso di eccezionale gravità noi chiedevamo l’intervento dei Vigili del Fuoco. In caso di incendio, per procedura formalizzata o per formazione, non esisteva la disposizione di intervenire sui pulsanti di emergenza. Riferendoci alla linea di trattamento, gli operatori che intervenivano sul primo focolaio dovevano valutare la gravità dell’incendio e se il focolaio non era vicino a corpi macchina in movimento non dovevano attivare il pulsante di emergenza. Non so se risulti da qualche procedura, ma ritengo che nel momento in cui veniva chiamata la squadra di emergenza avrebbero dovuto arrestare l’impianto per consentire al capo turno una adeguata valutazione. A quanto so non esiste una ragione particolare per cui si debba attivare il pulsante di emergenza, come cautela ritengo sia meglio procedere con l’emergenza a macchinari fermi. Non mi risulta che vi fosse una procedura scritta che indicasse la necessità di intervenire sul pulsante di emergenza in caso di incendio; la valutazione competeva al personale addetto alla linea a propria discrezione o al capo turno quando interveniva. Voglio precisare che conosco bene le procedure di emergenza per la linea di laminazione, su cui ho sempre lavorato, e dove esiste un impianto a spegnimento automatico, mentre non conosco le procedure di lavoro e di emergenza sulle linee di trattamento. Caffueri quando mi ha conferito l’incarico di responsabile della squadra di emergenza sapeva che non conoscevo le linee di trattamento, così anche Salerno quando mi ha conferito l’incarico di capo turno per l’interno stabilimento. Negli ultimi mesi la rimozione della carta dall’impianto non avveniva più ad opera dell’impresa di pulizie ma si chiedeva agli operai di pulire quando avevano tempo. Quando passavamo sulla linea e vedevamo troppa carta o gli operai che non erano impegnati in mansioni particolari richiamavamo gli operai stessi chiedendo che provvedessero alla pulizia e alla rimozione della carta. Nel caso non si riusciva a staccare la carta dal rotolo in lavorazione la lavorazione proseguiva in quanto nel forno la carta sarebbe stata comunque bruciata.

1.8.15 Mattiuzzo Giovanni. Il dichiarante svolge servizi di pulizie in Global Service, ossia pulizie ordinarie degli uffici, spogliatoi, e servizi igienici ed inoltre pulizie industriali dei reparti (rimozione sfridi di lavorazione quali reggette, carta oleosa, e ritagli di lamiera e macchie di olio) e pulizia tecnologica. "Effettuavamo presso la linea 5 la raccolta degli sversamenti d’olio che avvenivano durante la lavorazione e in particolare quelli piccoli venivano raccolti a mano dal personale, dopo avere sparso della segatura per assorbirlo e raccolto in contenitori, mentre quelli più consistenti, se avvenivano dove non vi erano pozzetti di raccolta lo effettuavano con un mezzo autospurgo piccolo denominato COMBI (capacita di serbatoio dello sporco di 3 metri cubi) come ad esempio nelle zone dove vi erano le paciasse (vasca bassa in lamiera) delle centraline idrauliche. Gli sversamenti d’olio consistenti venivano raccolti dai pozzetti e trasferiti tramite canalizzazione al pozzo 7, dove confluivano tutti gli scarichi di tutte le linee, e dove intervenivamo solo per la pulizia straordinaria (annuale) del fondo vasca. Per quanto riguarda la frequenza con cui effettuavamo queste operazioni di raccolta degli sversamenti d’olio, per quanto riguarda l’impegno del Combi, a fronte di 4/5 interventi mensili previsti a livello contrattuale, di fatto effettuavamo circa una ventina di interventi e di questi circa 5 erano dedicati alla linea 5. Per quanto riguarda la frequenza della raccolta manuale dell’olio con la segatura posso dire che intervenivamo giornalmente, ma non so stimare quanti interventi effettuavamo nella giornata, ma posso fornire il quantitativo di segatura che si consumava, che era di 20 sacchi da 120 litri cadauno al mese. Posso dire che dal pozzo 7, tramite delle pompe di rilancio poste in sospensione, veniva trasferita la parte oleosa nel serbatoio/ex vagone ferroviario posto nel piazzale fanghi e nello stesso vagone scaricavo il contenuto del COMBI. Con frequenza 30/40 giorni, dal carro ferroviario prelevavo, per portarlo allo smaltimento esterno, la morchia oleosa formatasi per deposito dopo il prelievo superficiale da parte della ditta Sepi. Il quantitativo che prelevavo era di circa 18/20 metri cubi, mentre posso stimare, avendolo fatto in passato come servizio, che la Sepi prelevava circa 5/6 metri cubi di olio da inviare al consorzio obbligatorio (COOU). Oltre a questo tipo di prelievo effettuavo, circa una volta all’anno, il trasferimento dei fanghi dal pozzo 7 al piazzale fanghi. Posso stimare che in questa operazione che effettuavo trasferivo circa 100 metri cubi di fanghi oleosi.

1.8.16 Menecali Dimitri. l dichiarante è capo reparto delle linee di cottura e decapaggio dello stabilimento Thyssen-Krupp di Terni. “Nel maggio o giugno del 2006 si è verificato un incendio nella sezione decapaggio della linea KL3 dello stabilimento di Krefeld (Germania) della Thyssenkrupp Stainless. Questa linea è dello stesso tipo della “linea 5” di Torino e della “LAF 4” di Terni. L’evento, che ha avuto rilevanti conseguenze in termini di danni materiali, portava il “Board” (Consiglio di Amministrazione) della Thyssen-Krupp Stainless a costituire un gruppo di lavoro per l’analisi dello specifico rischio incendio su questo tipo di linee. Del gruppo faranno poi parte i responsabili delle linee di ogni stabilimento. Per l’Italia il Sig. Delindati per Torino (dal 01/12/2007 in servizio a Terni, operativamente a Terni già dall’agosto 2007) ed io per Terni. IL 14 luglio 2006, ricevevo una e-mail dall’Ing. Mario Rizzi della Thyssen-Krupp Stainless con cui mi si comunicava la creazione di un gruppo per l’analisi del rischio di incendio sulle linee di decapaggio. Da subito ci fu uno scambio di e-mail tra i vari componenti del gruppo poi ci sono stati incontri periodici per l’analisi del rischio con lo scopo di fotografare la situazione in quel momento di tutte le linee del gruppo in termini di rischio incendio e di definire le contromisure necessarie per la prevenzione del rischio incendio e gli eventuali stati di avanzamento. Durante uno di questi incontri ci fu spiegato dai colleghi di Krefeld (Germania) che secondo l’ipotesi più verosimile, il grippaggio di un cuscinetto di un rullo di scorrimento del nastro, aveva dato origine all’incendio. Il gruppo di lavoro analizzando i dati raccolti decise gli interventi che dovevano essere pianificati per la riduzione del rischio incendio su questo tipo di linee. Preciso che i componenti del gruppo sono tutti responsabili di produzione e non dei tecnici specializzati in antincendio e quindi il contributo è il bagaglio delle loro esperienze e la conoscenza dell’impianto. Individuate le criticità e le misure, le successive fasi di progettazione e realizzazione non erano più di nostra competenza. Le misure decise sono uniche per tutte le linee dei vari stabilimenti. In particolare per Torino veniva deciso che sulle linee 1, 4 e 5 si sarebbero dovute sostituire le parti in plastica con materiale non infiammabile (dove possibile) e si sarebbero dovuti installare sistemi di rilevazione e spegnimento automatico (vedi documento Thyssenkrupp Stainless “Board iniziative” del 17/02/2007) laddove necessario, in particolare per le citate linee veniva indicata come necessaria l’installazione dei sistemi di rilevazione e spegnimento incendi per le centrali idrauliche. L’evento di Torino credo abbia riguardato una centrale idraulica a ridosso della sezione 3. Queste stesse misure ovviamente valevano anche per Terni, così come per ogni stabilimento del gruppo. ADR Non conosco quale fosse il livello di attuazione dell’indicazione per Torino, per Terni è già stata completata la fase di definizione delle specifiche tecniche, la realizzazione è prevista nel corrente anno fiscale (entro l’ottobre 2008). Dopo l’incendio di Krefeld, e più precisamente circa tre mesi fa, qui a Terni abbiamo dotato le zone di ingresso delle linee a caldo di ulteriori mezzi estinguenti più efficaci (bombole carrellate contenenti polvere e schiumogeno che hanno una maggiore gittata e consentono all’operatore di rimanere fisicamente più lontano dall’incendio, rispetto all’estintore normale presente in precedenza). La scelta prioritaria di intervenire prima sulle linee a caldo è dovuta al fatto che le centrali idrauliche qui sono collocate vicino agli ingressi delle linee a caldo. Non so quale sia la situazione di Torino. A Terni è prevista l’installazione di questi mezzi di estinzione anche nelle altre zone e sulle linee a freddo.
Oltre a ciò, l’evento Krefeld ha portato ad una maggiore attenzione: richiami alla pulizia, alla sorveglianza degli estintori, ispezioni documentate sull’efficienza degli estintori, formazione specifica, anche se eravamo e siamo consapevoli che la tutela del personale e la completa eliminazione del rischio per l’operatore poteva essere realizzata soltanto con l’installazione dei sistemi automatici di spegnimento. A seguito dell’evento di Torino, ieri sera è stato deciso di installare dei pulsanti di emergenza da premere in caso di incendio, prima di intervenire, che spengano le centrali idrauliche eliminando il rischio della proiezione di olio nell’aria interessata dall’incendio. Il gruppo di lavoro aveva evidenziato la necessità di installare sulle linee a freddo sistemi automatici di rilevazione e spegnimento in quanto si era reso evidente il rischio per gli operatori che erano chiamati a intervenire sull’incendio stesso e anche perché ci sono zone non presidiate. Proprio per questa ragione, ripeto, avendo preso cognizione della presenza di un rischio per l’operatore, abbiamo installato nel transitorio sistemi di estinzione a maggiore gittata. Le linee a freddo [a Terni] sono dotate di sensori sui rulli centratori della posizione del nastro al centro della linea e che rilevano quando il nastro è in posizione troppo scorretta da non poter essere ricentrato e automaticamente arrestano la marcia del nastro segnalando l’allarme sul super visore di linea (monitor dove gli operatori controllano il processo). Questi sistemi sono stati forniti con la linea sin dalla sua installazione. Questi sistemi servono per impedire lo sfregamento del nastro sulla carpenteria.

1.8.17 Morano Rocco. Il dichiarante è operaio presso la TKTO. "A Novembre 2007 sono intervenuto per spegnere un grosso incendio nella zona della briglia 1. Durante una saldatura di rinforzo aveva preso fuoco della carta. L’incendio fu domato con idranti in quanto gli estintori non furono sufficienti. Durante le saldature di rinforzo era frequente il verificarsi di principi di incendio che venivano gestiti con gli estintori in dotazione sulla linea.”

1.8.18 Pappalardo Salvatore. Il dichiarante opera presso lo stabilimento TKTO come leader, ossia vice capo turno (figura che non è compresa tra le qualifiche). Il suo compito era quello di sostituire il capo turno oppure di sostituire altro personale che fosse assente nel reparto finimento. "C’erano perdite allo SK 56 in particolare nella zona delle culle. I pistoni di sollevamento, probabilmente avevano guarnizioni usurate, ogni volta che sollevavano il rotolo espellevano fuori olio idraulico in discrete quantità. Con il mancare della giusta pressione nel circuito la sella si bloccava quindi dovevano intervenire i meccanici della manutenzione per rabboccare l’olio con una frequenza di minimo una volta al mese.
Questa perdita me la ricordo con regolarità da quando sono entrato nell’azienda (10 anni). Per l’olio fuoriuscito che andava in fondo alla fossa che conteneva la sella profonda 5 metri. Lì dentro si accumulavano anche pezzi di carta del rotolo. Solo una volta che si verificava un guasto che bloccava la linea si decideva di pulire la linea, altrimenti avveniva solo se qualcuno insisteva nel richiedere l’intervento della ditta di pulizia con un furgoncino che aspirava l’olio. Mi ricordo che durante le operazioni di saldatura per riparazioni alle linee del reparto finimento capitavano numerosi principi d’incendio, addirittura uno dei due manutentori prendeva in mano la mandata collegata ad un idrante e durante la saldatura spegneva i principi d’incendi che si verificavano, non penso che la persona che utilizzava l’apprestamento antincendio fosse formato all’utilizzo di tale strumento, perché spesso riponevano la manichetta alla rinfusa. A tal fine, preciso, mi ricordo che presso lo SK62 da più di 5 mesi vi erano due estintori a CO2 scarichi buttati a terra. Essendo il primo addetto uno dei miei compiti ad inizio turno è quello di verificare i sistemi di sicurezza della linea, ho notato che l’estintore era buttato per terra era senza spina e dopo averlo sollevato l’ho sentito leggero. Questo l’ho imparato durante il corso antincendio. Nell’occasione come è previsto l’ho segnalato al capoturno ma essendoci carenza di organico non è venuto nessuno a sostituirli, preciso che normalmente c’era, sino ad un anno fa, un operaio a turno che sostituiva gli estintori usati. Ultimamente lavorando sott’organico non c’era più nessun operaio che facesse questa operazione. Non vi erano più controlli da circa 5 mesi. Non ci sono più stati controlli anche perché non ci hanno più detto di fare le pulizie e metter in ordine, ed inoltre un’altra cosa che mi fa pensare ciò è quella che non ci sono più state riunioni periodiche sulla sicurezza. Vorrei aggiungere che la manutenzione era praticamente assente, c’erano numerosi guasti in particolare ricordo che il tre o il quattro notte si ruppe al raccordo un tubo flessibile dell’SK62 spruzzando a grande pressione l’olio ovunque, si staccavano le pompe e si fermava la macchina cosi impedendo a l’olio di continuare ad uscire.

1.8.19 Pennesi Massimo. Il dichiarante è responsabile della produzione Area Servizio Ausiliari, prima era Responsabile della Manutenzione Energia e Servizi, presso lo stabilimento di Terni. Egli dichiara: “Il servizio antincendio (gestione del personale e manutenzione impianti antincendio) è sempre dipeso dal mio servizio (SAU Servizi Ausiliari), le squadre antincendio sono alle mie dipendenze, ciò non risulta però dagli ultimi organigrammi (organigrammi prodotti verso la fine del 2006). Si tratta di un’impostazione voluta dal Personale e non formalizzata negli organigrammi. La scelta di far dipendere dal mio ufficio il servizio antincendio e la manutenzione dei relativi impianti è stata più volte commentata in senso negativo nell’ambito degli audit da parte dai membri del Working Group, che ritenevano invece opportuno inserire la competenza antincendio nell’ambito dell’Ufficio Sicurezza Ambiente Ecologia. Il Working Group è stato costituito nel 2002 e aveva il compito di ridefinire le “minimum common standards” ora “best practices guidelines”, e noi come Italia abbiamo partecipato preparando quelle del laminatoio a caldo. Il Workin Group si è poi occupato dei problemi legati al rischio incendio in quanto interferenti con il contratto assicurativo stipulato con le varie compagnie, all’inizio con la Zurich e Allianz e ora con AXA HDI e altri (polizze stipulate centralmente dalla Germania). In particolare occorreva definire il rischio incendio e renderlo noto alle assicurazioni in rapporto alla definizione dei contratti (proporzione del rapporto premio/rischio). Dopo l’incendio in Germania (Krefeld) le compagnie assicuratrici hanno alzato le franchigie su quel tipo di linee (linea a freddo) a 100.000.000 di euro, e quindi occorreva intervenire sugli apprestamenti antincendio per riabbassare il livello della franchigia, che prima era di 30.000.000 di euro. Per fare questo è stato creato il gruppo a cui hanno partecipato Menecali per Terni e Delindati per Torino, che hanno poi prodotto degli elaborati in cui si rappresenta la necessità di installare, rispettivamente per Terni e Torino, dispositivi di rilevazione estinzione automatica degli incendi. Lisi che dipende dall’Ufficio Impianti di Terni, per Terni ha attivato le procedure per l’installazione di questi impianti. Nel Working Group è presente un membro del Dipartimento assicurativo della Thyssen-Krupp TKRI che ha sede in Germania (non so esattamente dove) e che funge da interfaccia tra la Società e le assicurazioni.
Sino a che non provvederemo agli adempimenti richiesti la franchigia non sarà ridotta. Per gli impianti di Torino si aspettava che gli stessi pervenissero qui a Terni per poi dotarli dei dispositivi di rilevazione ed estinzione incendi.

1.8.20 Pignalosa Giovanni. Il dichiarante è stato, fino al 1999, secondo operatore di macchina SK62, dal 1999 al 2004 è stato operatore collaudo sull’impianto Slitter Fini, dal 2004 a tutt’oggi ha la mansione di rimpiazzo nel reparto “Finimento”.
Dal 2005 la sicurezza e la manutenzione sono state abbandonate a se stesse, ad esempio sono stato testimone nell’ultimo periodo di problemi inerenti a scarsa manutenzione e laddove si verificavano problemi ci veniva chiesto di sopperire con procedure alternative. La priorità era quella di garantire in qualche modo le ultime tonnellate di produzione richiesteci da Terni. Ad esempio mi risultano anche problemi di funzionamento ai sistemi di centratura manuale del rotolo sul mandrino della linea 5, non so però al riguardo essere più preciso, ho sentito dire che il comando sul pulpito non funzionava per cui si doveva procedere alla centratura così come si poteva. Come ho detto i colleghi mi riferivano che i rispettivi capi reparto chiedevano loro di sopperire in ogni modo alle problematiche dovute a guasti meccanici ed elettrici conseguenti all’assenza di manutenzione. Ero ad esempio presente alla discussione avvenuta la settimana prima dell’incendio tra Cortazzi, vice direttore di stabilimento, ed il Sig. Campobasso, operaio di macchina. In quella giornata , tra il 26/11 al 30/11/2007, il Cortazzi ordinava agli operai dello SK62 di rimuovere la carta e le reggette metalliche dalla fossa sottostante l’impianto e di provvedere alla pulizia dello stesso. A tale ordine il Campobasso manifestava il suo dissenso in quanto faceva notare che nella fossa vi era più di un palmo di olio fuoriuscito dallo stesso impianto e che l’impresa addetta alla rimozione della carta e dell’olio, sin dal giugno 2007, non passava più a fare le pulizie (o comunque passava solo su richiesta e se vi erano grosse quantità)”. I pulsanti di emergenza non venivano utilizzati in quanto il blocco della linea avrebbe prodotto dei danni al materiale. Questo concetto era stato radicato nel tempo nella mentalità dei lavoratori da pressioni subite nel periodo dei vari contratti prima di venire assunti a tempo indeterminato. Per i primi quattro anni, dal momento dell’assunzione, il contratto veniva rinnovato semestralmente per poi diventare solo dopo quattro ani, e a discrezione dell’azienda, a tempo indeterminato. Tanto era radicato il concetto di non utilizzare il pulsante di emergenza che perfino alcune manutenzioni avvenivano sulla linea in movimento. Alcuni operai avevano realizzato con la parte in cartone dei rotoli di carta igienica un sistema di protezione attorno al fungo di emergenza al fine di evitare che questo potesse essere azionato inavvertitamente. Il concetto di dover produrre anche in deroga alle procedure di sicurezza è ad esempio evidente: per ridurre i tempi di lavorazioni il rotolo di acciaio che pesa circa 25 t., veniva avvolto con il nastro protettivo senza posarlo in terra così da eliminare i tempi di sgancio-aggancio rotolo. Come anche era normale realizzare dei by-pass all’interno delle cabine elettriche per bypassare sistemi di sicurezza per poter intervenire sulla macchina, specie durante le manutenzioni, ripeto che il concetto era prioritario non interrompere il ciclo produttivo.

1.8.21 Pontin Mauro. Il dichiarante fa parte della squadra di pronto intervento antincendio dello stabilimento TKTO.
La notte dell’incendio ero in stabilimento, prestavo servizio nel turno che va dalle 22.00 alle 06.00, eravamo in due, io e Di Fiore Roberto. Preciso che da quando svolgo queste mansioni ovvero da settembre 2007 (prima ero al reparto finimento) la squadra antincendio è composta da due o tre persone, quella sera eravamo in due perché la terza persona era stata tolta da circa un mese. La procedura antincendio prevedeva che al momento dell’allarme in galleria una delle due persone componenti la squadra rimanesse in ufficio per controllare l’impianto di depurazione acque mentre l’altra doveva intervenire sul posto con il capo turno. Se c’era effettivamente l’incendio dovevamo valutare se era gestibile oppure no, nel primo caso intervenivamo noi con gli estintori e le manichette, nel secondo caso dovevamo chiamare i Vigili del Fuoco. A me non era mai capitato di dover intervenire per un incendio. In azienda era previsto che tutti i lavoratori facessero il corso antincendio, che consisteva in due ore o due ore e mezza di lezione al giorno per una settimana, sempre nel primo pomeriggio. Quando l’ho fatto io, nel 2006, erano stati accorpati due turni di lavoro nel medesimo corso, con la conseguenza che era in concomitanza con un turno di lavoro. Io ho iniziato ma sono subito stato chiamato in reparto a lavorare e quindi ho saltato lunedì, martedì, mercoledì e giovedì. Il venerdì non sono andato perché pensavo fosse inutile avendo saltato tutte le altre lezioni. Infatti non ho alcun attestato di frequenza. Neanche a settembre, quando sono entrato nella squadra antincendio, ho fatto corsi né ho ricevuto informazioni o formazione in materia antincendio. Penso che il motivo di tale trascuratezza fosse il fatto che lo stabilimento era in fase di dismissione, in generale vi erano parecchi segnali di abbandono, primo fra tutti il fatto che l’intero stabilimento fosse ormai lasciato ad un solo capo turno, e che le squadre degli addetti alla manutenzione fossero state dimezzate. Ultimamente molti lavoratori erano andati via, soprattutto quelli specializzati come i manutentori, mentre la produzione continuava ed anzi mi pare che fosse addirittura aumentata, perché vedevo arrivare moltissimi rotoli neri da Terni.

1.8.22 Regis Paolo. Il dichiarante è manutentore elettrico di pronto intervento presso la TKTO. Non ero favorevole al mio rientro, anzi ero fortemente preoccupato, perché a partire dal giugno 2007, in previsione della chiusura, molti miei colleghi si erano licenziati ed erano venute a mancare figure fondamentali ed esperienze per la gestione in sicurezza delle linee. Cosa che ho riferito ai miei delegati sindacali (sig. Argentino e sig. Boccuzzi), come ne ho parlato con il mio responsabile diretto sig. Beltrame. Anche il personale di manutenzione contava solo più poche unità , peraltro alcuni privi della necessaria professionalità per il pronto intervento. Quando sono rientrato l’organico dei manutentori elettrici era stato dimezzato, da quattro persone eravamo solo più due e ci trovavamo a far fronte ad una tipologia di interventi che non riuscivamo a gestire e spesso venivamo chiamati perché gli addetti agli impianti, non conoscendoli a fondo, in quanto magari erano lì di rimpiazzo, non sapevano farli funzionare e chiamavano per qualsiasi cosa e gli impianti erano sempre fermi . Ad esempio il personale della linea B.A. e dei laminatoi 54 e 42, che erano stati dimessi, dopo il giugno è stato spalmato su altri impianti che non conoscevano, come anche i pochi operai rimasti erano per lo più giovani e inesperti.
La presenza di carta e di olio sulla linea 5 era una condizione normale, nella zona degli ASPI c’era sempre presenza di molta carta e olio. Era fortemente radicato il concetto per cui si doveva sopperire a qualsiasi problema evitando di interrompere la produzione. Anche il pronto intervento veniva eseguito con questa filosofia, fermare la linea voleva dire creare un danno sul prodotto.
Non era più presente la figura del capoturno di manutenzione le cui funzioni erano state attribuite al capo turno di produzione che quella sera era il Sig. Marzo, poi deceduto a seguito dell’incendio. Il capoturno avrebbe dovuto coordinare l’intervento e gli apprestamenti di emergenza e chiamare me che come elettricista avrei dovuto mettere in sicurezza elettrica la zona interessata. Il Marzo quella sera si trovava sul luogo dell’incidente ed evidentemente non è riuscito a contattarmi.”

1.8.23 Ricco Sabino. Il dichiarante è gestore di manutenzione nel reparto finimento e laminazione. Egli afferma che l’olio idraulico utilizzato sulla linea 5 era l’HF46. Egli allega un prospetto con i consumi d’olio nell’anno 2007, in litri:

Gennaio 13000 ––––––Luglio 0
Febbraio 9000 ––––––Agosto 0
Marzo 7000 ––––––––– Settembre 1000
Aprile 13160 ––––––_ Ottobre 1000
Maggio 11000 ––––––Novembre 6030
Giugno 13060 ––––––Dicembre 500

Spallone aggiunge che “il consumo d’olio dipende in minima parte dallo smontaggio di organi idraulici (manutenzione) e in misura prevalente da incidenti e rotture su organi oleodinamici con conseguente fuoriuscita d’olio”.

1.8.24 Salerno Giuseppe. Il dichiarante è addetto al pronto intervento elettrico. “Alle ore 23.30 del 05.12.2007 sono stato chiamato sul telefono della cabina elettrica (numero 6358) dalla linea 5 per un problema, non so da quale telefono mi abbiano chiamato ma nessuno mi ha detto che il telefono della linea 5 non funzionava. Quando sono arrivato Schiavone e Scola mi hanno detto che c’era una fotocellula dell’aspo 1, sul pinch roll 1, che era rotta. In particolare, la fotocellula non era più nella sua sede ma era a terra, e quindi non puntava sul catarifrangente opposto al nastro. Preciso che quella fotocellula è posizionata su un montante della carpenteria sotto la zona dove scorre il nastro: se il nastro non c’è punta su di un catarifrangente e non fa muovere la linea, se il nastro c’è invece lo rileva e manda in marcia la linea. Quando sono arrivato ho trovato la fotocellula a terra con un catarifrangente appoggiato davanti, così che la linea era ferma. Gli addetti alla linea avevano imboccato il nastro manualmente (si dice “in jog”, e significa che hanno usato una leva a mano per imboccare il nastro) ma per far partire la linea era necessario che la fotocellula non vedesse il catarifrangente, e pertanto io l’ho tolto, con l’accordo che sarei intervenuto per rimettere la fotocellula nella sua sede quando fosse finito quel nastro e conseguentemente si fosse liberato l’aspo 1. Mi avrebbero dovuto richiamare gli addetti alla linea, perché non potevo intervenire con il nastro che interrompeva il raggio.

1.8.25 Segala Alessandro. Il dichiarante è responsabile dell’ Area a freddo di Terni.
Per la linea 5 di Torino era previsto che in concomitanza con il rimontaggio qui a Terni sarebbero stati effettuati interventi di adeguamento per la parte antincendio analoghi a quelli in corso sulle linee di Terni in particolare per quanto riguarda sistemi di rilevazione e spegnimento incendi sulle vasche di decapaggio e sulle centraline oleodinamiche.
Per quel che riguarda la linea 5 di Torino, questa non era dotata di specifici apprestamenti antincendio, come anche la analoga linea di Terni, ovvero non sono presenti rilevatori di incendio e non esiste un sistema di spegnimento incendi. Eventuali incendi su queste linee vengono gestiti manualmente dai dipendenti con l’uso di estintori, idranti, e nei casi critici con l’intervento della squadra antincendio di presidio.
Recentemente, e più precisamente dopo l’incendio di Krefeld del 2006, Il WGS ha ritenuto che anche le linee di ricottura e decapaggio devono essere dotate di sistemi di rilevazione e spegnimento incendi, almeno nelle sezioni considerate più critiche (decapaggio e centrali oleodinamiche). In tal senso sono in corso di elaborazione progetti, in alcuni casi già in esecuzione. Tali adeguamenti sono stati resi possibili da uno stanziamento di circa 4.000.000 di Euro (per l’area a freddo di Terni) deciso direttamente dal consiglio di amministrazione della società capogruppo Thyssen-Krupp Stainless di Kaiser-Wihelm-Strasse 100, 47166 Duisburg, da cui dipendono le società operative, tra cui la Thyssen-Krupp Acciai Speciali Terni S.p.A. Produco copia del documento 19-21/12/2006 della Società AXA Assicurazioni dove per le linee a freddo viene raccomandata l’installazione di sistemi di spegnimento automatici in rapporto ai circuiti dell’olio minerale del sistema idraulico. Le raccomandazioni dell’Assicurazione sono state formulate dalla AXA a seguito di loro ispezione al fine di ridurre il costo del livello di franchigia. Maggiore è il livello di protezione, minore è il valore di franchigia non coperto dall’Assicurazione.

1.8.26 Simonetta Fabio. Il dichiarante è operaio presso lo stabilimento TKTO.
Arrivato al pulpito della 5 sono entrato per telefonare e attivare i soccorsi. La prima chiamata l’ho effettuata al numero dell’infermeria, primo numero che mi è venuto in mente, mi ha risposto l’infermiera, della quale non so dire il nome, che ha appreso da me quanto si era verificato e si è impegnata a chiamare lei la portineria e i soccorsi. Dopo circa quindici minuti, non vedendo ancora arrivare nessuno, ho provato a richiamare ma il telefono non funzionava più, a quel punto un collega della linea 4 ha preso la bicicletta per andare a vedere se arrivavano i soccorsi. Mi sono poi portato fuori dal pulpito, poco più avanti c’erano a terra Roberto Scola e Angelo Laurino che erano in fiamme e con il mio giubbotto ho cercato di spegnere le fiamme su di loro.
Ho poi notato che c’era una manichetta collegata ad un idrante ma era completamente bruciata e quindi non utilizzabile. Volevo spegnere il fuoco su un muletto temendo che potesse scoppiare da un momento all’altro, e ho collegato all’idrante una nuova manichetta che ho prelevato dall’apposita nicchia e poi ho aperto l’acqua. Se non che nell’aprire la valvola che si trova sulla testa della lancia la maniglia si è sganciata e l’acqua anziché uscire dalla della lancia, usciva dal foro laterale, ho quindi ho utilizzato la lancia come riuscivo e ho spento il fuoco sul muletto, dopo ho chiuso l’acqua. Non ho buttato acqua sulla linea in quanto sapevo che l’acqua non deve essere versata sull’olio incendiato e sui motori. Quando ho lavorato sulla linea 5 ho constatato la presenza di carta e di olio in misura rilevante, spesso eravamo noi operai a togliere la carta perché l’impresa di pulizie veniva raramente. Rimuovevamo la carta con la linea in movimento in quanto la linea non poteva essere fermata per nessun motivo. Ero a conoscenza di dove erano localizzati i pulsanti di emergenza ma sapevo, in quanto ci era stato detto dai nostri capi, che quei pulsanti andavano premuti solo in caso di grosse necessità o per manutenzione e comunque solo dopo aver provato ad intervenire sulla linea in funzione.

1.9 Deduzioni riassuntive dalle dichiarazioni e testimonianze
Da quanto riportato in par. 1.8 si può riassumere quanto segue:
- La linea 5 funzionava in perenne palese violazione delle norme di sicurezza relative agli impianti a rischio di incidente rilevante, in quanto – ad esempio - in costante presenza di olio sul fondo dell’impianto, di residui di carta oleati ovunque, di fiamme libere e piccoli incendi praticamente costanti, in mancanza di squadre antincendio addestrate, con gli estintori scarichi, eccetera.
- La linea 5 funzionava oltre i normali regimi per sopperire a richieste pressanti di produzione non ottemperabili dal solo stabilimento di Terni. Gli operai erano costretti a turni straordinari massacranti.
- La linea 5 presentava evidenti malfunzionamenti dovuti ad usura e scarsa manutenzione, primo tra tutti le perdite di olio, e i frequenti guasti di tipo elettrico e meccanico.
- I vigili del fuoco, gli addetti ai gruppi di lavoro sulla sicurezza, i periti
dell’assicurazione avevano ripetutamente raccomandato nel recente passato l’adozione di un sistema automatico di spegnimento per la linea 5, in conformità a quanto previsto per impianti soggetti a rischio rilavante di incendio come quello in esame. Questa raccomandazione, adottata per analoghi impianti presso altri stabilimenti della ditta, era stata disattesa e posposta, in quanto la linea stava per essere chiusa e trasferita a Terni entro breve.
- La manutenzione sulla Linea 5 era insufficiente ed era peggiorata nell’ultimo periodo, in vista della prospettata chiusura entro breve tempo. Le squadre di manutenzione si erano ridotte e le frequenze degli interventi riguardavano per lo più la riparazione di guasti. Ancora, la sostituzione di alcuni pezzi meccanici non avveniva con il montaggio di pezzi nuovi ma con recuperi da altre linee o spostamenti sulla linea stessa.
- Le squadre di sicurezza e antincendio erano insufficienti o inesistenti, erano costitute da personale che non aveva completato (in nessun caso, neppure una persona) l’addestramento antincendio previsto dalla legge. Le procedure di emergenza e antincendio erano carenti e l’intero apparato di sicurezza al riguardo era in patente violazione con le prescrizioni di legge.
- Gli operai della linea 5 dovevano frequentissimamente intervenire con estintori manuali per spegnere incendi che continuamente si formavano sulla linea, senza sospendere la produzione, in violazione con il loro mansionario e le procedure.
- In caso di incendio di “grave entità” la procedura prevedeva non già l’immediato appello dei VVFF, ma la composizione di un numero di telefono per la chiamata della squadra antincendio, peraltro inadeguata in quanto non formata con appositi corsi completi e sprovvista di mezzi adeguati di spegnimento.
- Non vi era alcuna prescrizione o specifica scritta o procedurale che indicasse quando un incendio era di “grave entità”. Le indicazioni dell’azienda erano di provare a spegnere con ogni mezzo l’incendio da parte degli operai con gli estintori prima di dare l’allarme.
- Era fortemente radicato il concetto per cui si doveva sopperire a qualsiasi problema evitando di interrompere la produzione. I pulsanti di emergenza non dovevano mai venire azionati per evitare la interruzione della produzione. Gli operai avevano ricevuto espresse indicazioni al riguardo dall’azienda. Emerge chiaramente, anche dall’analisi di alcuni incidenti, che vi era la indicazione generalizzata ad affrontare situazioni di rischio particolarmente elevato in modo autonomo e non in ottemperanza alle misure di sicurezza, che non erano state comunicate ai lavoratori.
- Il pulsante di emergenza non toglie l’alimentazione elettrica alla pompa oleodinamica ,
quindi l’olio rimane sempre in pressione fino ai banchi valvole anche in caso di
attivazione dei pulsanti di emergenza. Anche la pressione di questi pulsanti, fortemente sconsigliata dall’azienda per non interrompere la produzione, non avrebbe evitato comunque l’incendio e l’incidente.
- I sistemi individuali di spegnimento (estintori) erano al momento dell’incidente per la maggiorparte scarichi o inutilizzabili.
- Nessuno dei presenti all’incidente aveva ricevuto alcuna formazione specifica sul tipo di intervento da effettuare e sulle procedure da seguire in caso di un incendio di tale entità.
- Si erano verificati nel recente passato eventi incidentali analoghi presso altri stabilimenti dell’azienda, senza che nessun rimedio venisse adottato a seguito di questi incidenti sulla linea 5.
- Alcuni sistemi di sicurezza automatici che segnalavano la presenza di carta spuria (costituente grave pericolo) nell’impianto a seguito di malfunzionamento erano al momento dell’incidente esclusi manualmente o addirittura guasti, in palese contrasto con le norme di sicurezza.
- Nel luogo ove si è verificato l’incendio non vi era sistema automatico di rilevazione
incendi.

In ultima analisi, lo scrivente si stupisce come l’evento incidentale che ha causato la morte dei sette operai si sia verificato con tale ritardo, viste le condizioni in cui funzionava l’impianto, ovvero in palese violazione con ogni norma di sicurezza. Tutto quanto era umanamente possibile per rendere provabilissimo il disastro era stato fatto o omesso dall’azienda con incredibile e costante pervicacia. Una volta partito, la dinamica dell’evento incidentale è stata inevitabile, dati gli strumenti e la formazione dati agli operai a quali nulla si può imputare se non l’aver accettato, per non perdere il posto di lavoro, di lavorare in un impianto in simili condizioni.

2. La chiusura dello stabilimento e il funzionamento in condizioni borderline
La chiusura dello stabilimento torinese era stata decisa da tempo dal consiglio di amministrazione della Thyssen-Krupp. Inizialmente il termine previsto per l’inizio dello smantellamento era dicembre 2005, ma questa data è stata posticipata all’estate 2006 a causa dei Giochi Olimpici Invernali. In seguito all’incendio alla Thyssen-Krupp Nirosta e ad un buon numero di ordini, la data di chiusura dello stabilimento torinese è stata nuovamente posticipata e fissata per l’estate 2007. L’annuncio definitivo della chiusura è stato dato ai lavoratori ed ai sindacati in data 7/6/2007. E’ stata raggiunta un’intesa con i sindacati già nel Luglio 2007 e sottoscritta in un accordo firmato davanti al ministero per lo sviluppo economico (Bersani). L’intesa prevedeva un graduale arresto della produzione entro la fine di Settembre 2008, l’offerta di posti di lavoro alternativi all’interno del gruppo AST per tutti i lavoratori, nessun licenziamento e un piano sociale simile agli standard Thyssen-Krupp, ma ancora più vantaggioso.”
Di rilievo, inoltre, è la circostanza che, in vista della chiusura, la Direzione Aziendale avesse deciso di soprassedere alla installazione di una rete fissa antincendio sia sulla Linea 4 che sulla Linea 5. Per gli impianti di Torino si aspettava che gli stessi pervenissero qui a Terni per poi dotarli dei dispositivi di rilevazione ed estinzione incendi. Successivamente, il 4 luglio 2007, in occasione di un meeting a Terni per discutere di alcuni progetti in corso presso quello stabilimento, si parlò della prossima chiusura dello stabilimento di Torino ed di quali erano i programmi per le misure antincendio relative a tale stabilimento. Venne deciso che, visto che era previsto lo spostamento delle linee da Torino a Terni, gli interventi relativi alle raccomandazioni dell’assicurazione sarebbero stati considerati in occasione di tale trasferimento. Ciò che colpisce da molte testimonianze agli atti è la circostanza che il processo produttivo di cui sopra avvenisse senza alcuna interruzione alla presenza di piccoli focolai d’incendio. Questi essendo ormai da tempo considerati eventi quasi “normali”, eventi quindi per cui si doveva intervenire per porvi immediato rimedio, ovvero spegnerli, ma di cui ormai non ci si preoccupava più di tanto. Le maestranze quindi si erano assuefatte a questo tipo di rischio.
Da numerose testimonianze emerge anche la circostanza che almeno nell’ultimo anno nello stabilimento si erano ridotti notevolmente gli interventi sia di manutenzione che di pulizia, questi ultimi affidati a una ditta esterna. Ciò comportava il ristagno di pozze di kerosene in prossimità degli aspi svolgitori e di olio del circuito idraulico nelle zone ove erano i cilindri oleopneumatici, banchi valvole, ecc.

3. Ricostruzione dell’incidente e come si sarebbe potuto evitarlo.
Alle ore 20.06 del 5/12/2007 la Linea 5 fu arrestata affinché gli operatori potessero effettuare la rimozione della carta fino all’entrata nel forno, perché il rotolo processato in precedenza aveva la carta adesa e questa era stata trascinata e accumulata in grande quantità. La marcia fu ripresa alle ore 21.48. Alle ore 23.07 la Linea 5 fu nuovamente arrestata, perché la fotocellula che ha il compito di rilevare la presenza nastro era malfunzionante e per questo non consentiva la marcia della linea. L’inconveniente richiese un intervento di manutenzione, effettuato da Salerno Giuseppe. Un’ora e mezza dopo, alle 0.35, la Linea 5 fu riavviata, e fu inviato a processo il rotolo caricato sull’Aspo N°1. Dai dati di marcia risulta che la velocità di processo era pari a 18 m/min. Le evidenze indicano che al momento del riavvio lungo la linea vi era ancora un notevole quantitativo di carta.
Al momento del riavvio della linea, il nastro presentava un fuori asse di 90 mm. Si precisa che nella zona interessata dal fuori asse non vi erano sistemi di rilevamento della posizione nastro.
Come risulta evidente dall’esame della linea e dalle testimonianze, l’incendio si è sviluppato sulla verticale della raddrizzatrice Aspo 2, situata sotto il secondo pinzatore Aspo 1. La causa d’innesco dell’incendio può essere dovuta ad una o ambedue le seguenti:
- sfregamento del nastro contro la struttura metallica della cesoia Aspo 1,
- sfregamento del nastro contro la carta accumulatasi sulla struttura del metallica che sostiene la medesima cesoia.
Le scintille provocate dallo sfregamento del nastro contro la struttura o l’incendio della carta provocato dallo sfregamento, hanno causato con la loro caduta l’incendio della carta sottostante accumulata nella raddrizzatrice Aspo 2. La presenza della carta è testimoniata, dai residui carboniosi tra i rulli della medesima.
Come testimoniato da Boccuzzi, gli operatori si accorsero della presenza del focolaio e intervennero per spegnerlo. In particolare Boccuzzi per primo si recò in prossimità della raddrizzatrice Aspo 2, lato pulpito di comando, con un estintore, che lui ha definito “pressoché scarico”, senza riuscire a spegnere le fiamme. Nel frattempo queste si propagarono verso il basso, coinvolgendo la carta e la pozza, generata dagli sgocciolamenti di kerosene dai nastri e dall’ olio idraulico proveniente dalle perdite dei circuiti, presenti nella vasca creata dalla struttura portante della raddrizzatrice.
A questo punto Boccuzzi, resosi conto che non poteva spegnere le fiamme con l’estintore si recò presso l’idrante più vicino e collegò una manichetta, che era già svolta, mentre i colleghi si avvicinarono alle fiamme con altri estintori a CO2 e con la lancia della manichetta stessa.
Le fiamme bruciarono i rivestimenti di gomma dei flessibili sottostanti la raddrizzatrice dilatando altresì i raccordi terminali pressati, causando il collasso di un primo flessibile sotto pressione. Ciò provocò un violentissimo getto d’olio idraulico, che, in buona parte nebulizzava generando uno spray di vapori (la frazione leggera dell’olio) e di goccioline minutissime, per l’effetto dellarepentina depressurizzazione [ nota La pressione dell’olio ai vari utilizzi era compresa tra 70 e 140 bar, essendo la pressione di mandata delle pompe pari a quest’ultimo valore]. Lo spray d’olio ha immediatamente trovato un innesco nel focolaio d’incendio già in atto, sviluppando una “vampata” (flash fire), che ha interessato un’ampia area attorno alla raddrizzatrice Aspo 2, estesa almeno fino alla parete lato operatori, ed ha investito in pieno quasi tutti i presenti. Solo Boccuzzi (in posizione protetta dal muletto) è stato risparmiato. L’innesco della nube ha causato il rumore testimoniato da Boccuzzi (“un rumore sordo quasi come si trattasse più correttamente di un boato tipo quello che si sente all’accensione di uno scaldaacqua a gas ma molto più forte”). A seguito della cospicua fuoriuscita d’olio le fiamme hanno aumentato a dismisura la loro intensità, in modo pressoché istantaneo.
Il collasso di altri flessibili presenti sotto la raddrizzatrice ha alimentato ulteriormente l’incendio, e causato “altre esplosioni più piccole rispetto alla prima e più acute, dei veri e propri scoppi” così come descritte sempre dal Boccuzzi e da diversi testimoni che riferiscono di aver sentito altri “scoppi” ad incendio già sviluppato.
La quantità d’olio fuoriuscita dai vari flessibili collassati è stata certamente cospicua, poiché la fuoriuscita di olio in pressione è proceduta, con abbassamento del livello all’interno del serbatoio, fino al raggiungimento del livello di minimo, evento che ha provocato l’arresto della linea e della centrale idraulica con conseguente cessazione della fuoriuscita di olio. La differenza del volume d’olio contenuto nel serbatoio tra i due livelli costituisce una stima di minimo del quantitativo d’olio fuoriuscito; essa è pari a 430 litri.
L’incendio era poi spento con apposito schiumogeno dai sopraggiunti VV. FF.
Poiché per il primo tratto svolto il bordo del nastro risulta poco danneggiato (quantomeno per quanto si osserva tra la briglia 3 e la vasca acida), e soprattutto considerato che i danni rilevati nel tratto compreso tra la cesoia e la saldatrice sono lievi, se ne deduce che nella zona in corrispondenza della cesoia Aspo 1 esso sfregasse poco o solo saltuariamente. In conseguenza non vi sono elementi che permettano di individuare con certezza il momento in cui l’evento 3) si verificò in modo vistoso. Si può solo affermare con certezza come questo debba collocarsi tra il riavvio della linea (ore 0.35) e alcuni minuti prima delle ore 0.48.
Poiché sfregamenti saltuari erano piuttosto frequenti e, probabilmente tollerati a seconda delle lavorazioni successive del nastro o del suo previsto uso finale, nessuno si preoccupò di effettuare alcuna correzione. Queste sono, verosimilmente, le ragioni del mancato intervento protettivo a), che non può perciò ascriversi a errore o incuria degli operatori, ma legato piuttosto ad un contesto produttivo ormai degradato, come risulta da diverse testimonianze agli atti. Per quel che riguarda la linea 5 di Torino, questa non era dotata di specifici apprestamenti antincendio, come anche la analoga linea di Terni, ovvero non sono presenti rilevatori di incendio e non esiste un sistema di spegnimento incendi. Eventuali incendi su queste linee vengono gestiti manualmente dai dipendenti con l’uso di estintori, idranti, e nei casi critici con l’intervento della squadra antincendio di presidio.
È di rilievo a questo punto valutare il grado di formazione degli operatori sia su attività antincendio che, più in generale, sul piano d’emergenza o, comunque, su circostanze da considerarsi d’emergenza. Su entrambi questi aspetti, dalle testimonianze agli Atti, emerge un quadro sconfortante.
In caso di principio di incendio le indicazioni fornite dal responsabile della sicurezza erano quelle di intervenire con i mezzi a disposizione ed in caso in cui non si riusciva a venirne a capo dovevamo chiamare la squadra di emergenza attraverso il telefono interno in dotazione ad ogni pulpito, e non direttamente i Vigili del fuoco; a questa chiamata provvedeva la squadra di emergenza tramite il posto di guardia o come eventualmente indicato nella procedura interna. In ogni caso, mai andava premuto il pulsante di sicurezza per non arrestare la produzione e danneggiare l’impianto: gli operai erano a conoscenza di dove erano localizzati i pulsanti di emergenza ma sapevano, in quanto era stato detto loro dai capi, che quei pulsanti andavano premuti solo in caso di grosse necessità o per manutenzione e comunque solo dopo aver provato ad intervenire sulla linea in funzione.

L’esame della linea 5 ha evidenziato come la stessa fosse soggetta a rischio d’incendio elevato, dovuto principalmente a:
# Alto carico d’incendio, provocato dalle perdite d’olio dei circuiti idraulici e agli sgocciolamenti di kerosene nel basamento della struttura portante della raddrizzatrice Aspo 2 e nella fossa degli aspi svolgitori; # presenza di carta imbevuta di kerosene accumulata su tutta la linea fino ai forni; # bobine della stessa carta stoccate a terra o su carrello in zona imbocco, in attesa di essere evacuate; # pannelli valvole e circuiti con alte quantità di olio idraulico in pressione; # gas combustibile (metano) utilizzato per alimentare il forno di ricottura;

Tra le principali cause d’innesco di un incendio lungo la linea, considerate le precedenti osservazioni, vi sono:
* lo sfregamento del nastro contro la struttura laterale in carpenteria metallica, con
generazione di calore e/o scintille, evento questo da considerarsi come estremamente frequente;
* lo sfregamento del nastro contro la carta accumulata lungo la linea;
* il surriscaldamento di cuscinetti dovuto ad un possibile grippaggio degli stessi;
* il surriscaldamento del nastro che sfrega su di un rullo bloccato (per es. a seguito del grippaggio di un cuscinetto, come successe a Krefeld nel 2006);
* i guasti elettrici con scintillamenti o punti di surriscaldamento provocati da motori elettrici, componenti vari e i relativi collegamenti di potenza;
* perdita di fissaggio di capicorda collegati alle morsettiere con aumento della resistenza di contatto, produzione di scintille e conseguente sovratemperatura.

Risulta quindi evidente come le predette cause d’innesco, in presenza di carichi d’incendio, sicuramente non rilevanti secondo la definizione classica (kglegna eq./m2 di area del locale), ma localizzati in alcune aree di processo (p. es. quelli apportati dalla carta intrisa di kerosene movimentata assieme alle bobine oppure causati dalle pozze di kerosene nella zona di svolgimento aspi o di olio del circuito idraulico in prossimità dei dispositivi comandati con questo sistema, ma anche per la presenza di grandi quantitativi di olio idraulico in circuiti ad alta pressione) pertanto particolarmente consistenti, facciano sì che il rischio d’incendio sia localmente elevato.
Ciò risulta anche dalle considerazioni della società assicuratrice Axa, e dalle conclusioni emerse dai gruppi di lavoro istituiti dalla Thyssen dopo l’incendio di Krefeld 2006.
La stessa mancanza di sistemi automatici di centratura aspo e bobina, e l’inefficienza dei sistemi di misura diametro bobina, che hanno lo scopo di diminuire la possibilità di sfregamento del nastro contro la carpenteria, è causa dell’aumento della probabilità d’innesco di un incendio, quindi è un fattore che contribuisce all’aumento del rischio, giustificando pienamente la valutazione di rischio alto appena espressa.
A valle delle considerazioni sopra esposte, il sottoscritto può affermare che qualora la linea 5 fosse stata dotata di un impianto antincendio automatico progettato per effettuare sia il rilevamento che lo spegnimento, il focolaio d’incendio sarebbe stato individuato dal sistema certamente prima dell’esplosione del tubo flessibile e spento automaticamente o, come minimo, si sarebbe contenuta la sua propagazione . In questo caso inoltre non sarebbe stato necessario l’intervento diretto degli operatori, che pertanto non avrebbero perso la vita.
Nella seppur remota eventualità di un malfunzionamento del sistema di spegnimento automatico, il sistema automatico di rilevazione incendi progettato per arrestare le pompe delle centrali idrauliche, con conseguente eliminazione della pressione dai circuiti idraulici, avrebbe evitato la proiezione di olio nebulizzato in fiamme sugli operatori che, nuovamente, non avrebbero perso la vita.
Peraltro, nella configurazione in essere presso la TKTO, quindi con la Linea 5 priva di sistemi di rilevamento, sia abbinati a sistemi di spegnimento automatico che manuale, la semplice messa in sicurezza del sistema avrebbe riportato in posizione di chiusura tutte le valvole di comando dei circuiti oleodinamici esplosi, pertanto non si sarebbe sviluppato il flash fire che ha provocato la morte dei presenti. Si ricorda come per l’arresto d’emergenza della linea basta premere uno degli appositi pulsanti rossi presenti in sala controllo o sulla maggior parte dei pulpiti di comando. Si ribadisce a questo punto come né nel corso delle indagini, né nei documenti in atti, sia emersa traccia di una procedura di arresto d’emergenza della linea. Il ogni caso il comando di arresto d’emergenza non disalimenta la stazione di pompaggio, pertanto i circuiti pilotati da valvola a due posizioni [nota 2 - In questo caso manca la posizione di chiusura] rimangono in pressione. Questi sono i circuiti espansione aspo e ritenuta coltelli della cesoia, nessuno di questi circuiti è però collassato nel corso dell’evento. In ogni caso, un’appropriata valutazione del rischio incendio avrebbe subito individuato, in accordo col D.Lgs 626/94, un semplice e poco costoso provvedimento: quello di rimuovere una delle principali fonti di pericolo, cioè il ristagno di kerosene e/o olio idraulico a pavimento e soprattutto dall’interno di strutture o manufatti a forma chiusa. La modifica della pavimentazione con leggeri piani inclinati (ad. es. in battuto di cemento) sotto le aree dei circuiti idraulici e convogliare in apposito contenitore gli sgocciolamenti raccolti entro la struttura portante della raddrizzatrice Aspo 2 (a forma di vasca) avrebbe sicuramente evitato il disastroso evento.

4. Conclusioni
Si sono riscontrate tutte quelle violazioni alle norme di prevenzione e sicurezza sul lavoro riconducibili alla non adeguata valutazione dei rischi e più specificamente alla valutazione del rischio incendio effettuata dall’Azienda e dai suoi Consulenti, che per la Linea 5 era da tempo fortemente sottostimato. Di particolare gravità è la decisione della Direzione Aziendale, che pur a conoscenza dei risultati della valutazione del rischio incendio effettuata dai tecnici della società di assicurazioni AXA, decise di posticipare l’installazione dei sistemi automatici di estinzione incendi (che nella fattispecie avrebbero evitato l’infortunio per cui è causa), ad un’epoca successiva al trasferimento della Linea 5 a Terni.
La TKTO è azienda a rischio d’incidente rilevante e come tale deve ottemperare a quanto disposto dal D.Lgs 334/99. Nel più recente Rapporto di Sicurezza agli Atti (30/6/2006) emerge come il rischio incendio sia fortemente sottostimato e come la prevenzione sia essenzialmente affidata al pronto intervento degli operatori e solo successivamente alla squadra di emergenza. Il Capoturno di questa avrebbe il compito di richiedere l’aiuto dei VV.F. esterni solo se “l’incendio appare già di palese gravità”.
L’incendio è stato determinato da vistose carenze nelle misure di prevenzione antincendio. In particolare la zona degli Aspi svolgitori e dei macchinari subito in sequenza, (fino alla saldatrice), era priva di una rete antincendio fissa con rilevatori automatici collegati con un sistema d’interblocco per le pompe del circuito oleodinamico.
Il piano d’emergenza era approssimativo, e inoltre la riduzione del personale non ne permetteva una implementazione adeguata. Sono poi evidenti le violazioni delle normative che prevedono la formazione ed informazione del personale dell’azienda sui rischi incidentali e di incendio.

5. Considerazioni aggiuntive: analisi non tecnica
Torino, stabilimento della ThyssenKrupp, gruppo industriale che opera nel campo della produzione e distribuzione degli acciai speciali (inossidabili e al carbonio). E’ la notte del 6 dicembre 2007, sulla linea 5 alcuni operai stanno srotolando una lastra di lamiera per inserirla nel forno all’interno del quale il materiale deve subire un trattamento termico. Questa lastra di lamiera è raccolta, come d’abitudine, in una specie di matassa e ha al suo interno un foglio di carta oleata, il quale protegge le superfici di metallo evitandone il contatto. Improvvisamente, un urto della lamiera provoca una scintilla che fa bruciare il foglio di carta oleata.
Uno degli operai prende l’ estintore per spegnere il principio di incendio, ma quest’ultimo è vuoto.
L’impianto idraulico della linea ha un’improvvisa perdita: l’ olio in pressione fuoriesce e le fiammedivampano investendo gli operai.
Nell’ incidente muore sul colpo Antonio Schiavone, 36 anni.Vengono portati in ospedale, ma moriranno nelle settimane successive, altri operai in condizioni gravissime, con ustioni tra il 60 e il 90% del corpo: Giuseppe De Masi (26 anni), Rosario Rodino (26 anni) , Rocco Marzo (54 anni), Angelo Laurino (43 anni), Roberto Scola (32 anni), Bruno Santino (26 anni). Secondo i sindacati, alcuni dei lavoratori coinvolti nell’incidente, erano al lavoro da 12 ore consecutive: avevano già accumulato quattro ore di straordinario. La ThyssenKrupp aveva deciso a luglio di chiudere la fabbrica torinese e di concentrare tutta l’ attività produttiva nello stabilimento di Terni, ma nello stabilimento in via regina Margherita erano ancora al lavoro circa duecento dipendenti. Proprio nel periodo di dicembre la linea 5 aveva avuto un’intensificazione del ritmo di lavoro e l’ azienda aveva deciso di mantenerla attiva ancora un po’.
"Turno di notte vuol dire che monti alle 22. Sono abituato. Quel mercoledì sera, il 5 dicembre, sono arrivato come sempre un quarto d'ora prima, ho posato la macchina, ho preso lo zainetto e sono entrato col mio tesserino”: Pignalosa Giovanni, 37 anni, diplomato ragioniere, operaio alla Thyssen-Krupp, rimpiazzo, cioè jolly, reparto finitura. “Salgo, guardo il lavoro che mi aspetta per la notte e vedo che ho solo un rotolo da fare. Allora vado prima a trovare quelli della linea 5, devo dire una cosa ad Antonio Boccuzzi, ma poi arrivano gli altri e si finisce per parlare tutti insieme del solito problema. Il 30 settembre la nostra fabbrica chiuderà, a febbraio si fermerà per prima proprio la 5, stiamo cercando lavoro e non sappiamo dove trovarlo. Duecento se ne sono già andati, i più esperti, i manutentori, molti alla Teksfor di Avigliana. Noi mandiamo il curriculum in giro, con le domande.
L'azienda se ne frega, la città anche. Chiediamo agli amici, ai parenti operai che hanno un posto. Chi può cerca altre cose, Toni "Ragno" dice che ha la patente del camion e prova con le ditte di trasporti: gli piacerebbe, tanto ogni giorno fa già adesso 75 chilometri per arrivare all'acciaieria e 75 per tornare a casa. Bruno ha deciso, il 29 chiude con la fabbrica e apre un bar con Anna, Angelo ha provato a farsi trasferire alla Thyssen di Terni, la casa madre, ma poi è tornato indietro per la famiglia. Parliamo solo di questo, come tutte le notti, abbiamo il chiodo fisso. E' brutto essere giovani e arrivare per ultimi. La Thyssen qui in giro la chiamano la fabbrica dei ragazzi, perché dei 180 che siamo rimasti il 90 per cento ha meno di trent'anni. Ma questo vuol dire che quando tutt'attorno chiude la siderurgia e Torino non fa più un pezzo d'acciaio che è uno, chi ti prende se sai fare solo quello? Eppure siamo specializzati, superspecializzati, non puoi sostituirci con un operaio qualsiasi che non abbia fatto almeno 6 mesi di formazione per capire come si lavora l'acciaio. E infatti ci pagano di più, uno del quinto livello alla Fiat prende 1400 euro, qui con i turni disagiati, la maggiorazione festiva, il domenicale arrivi a 1700 anche 1800 senza straordinario. Non ti regalano niente, sia chiaro, perché lavori per sei giorni e ne fai due di riposo, quindi ti capitano un sabato e domenica liberi ogni sei settimane, non come a tutti i cristiani. Ma la siderurgia è così, lavoriamo divisi in squadre e quando smonta una monta l'altra perché le macchine non si fermano, 24 ore su 24, questo è l'acciaio. Che poi, se ci fermassimo noi si ferma l'Italia perché siamo i primi, senza l'acciaio non si vive, dai lavandini all'ascensore, alle monete, alle posate, siamo la base di tutta l'industria manifatturiera, dal tondino per l'edilizia alle lamiere per le fabbriche, agli acciai speciali. E quando parlo di acciaio intendo l'inox 18-10, cioè 18 di cromo e 10 di nichel, roba che a Torino si fa soltanto più qui da noi, che è come l'oro visto che il titanio viaggia a 35 euro al chilo e noi facciamo rotoli da sei, settemila chili. Eppure tutto questo finirà, sta proprio per finire, Torino resterà senza, siamo come le quote latte. E' chiaro che ne parliamo tutte le sere, come si fa?
Comunque, a un certo punto, sarà mezzanotte e mezza, io saluto tutti, e dico che vado a fare quel rotolo che mi aspetta. Salgo, e lì sotto comincia l'inferno. E' una parola che si usa così, come un modo di dire. Ma avete un'idea di com'è davvero l'inferno?"

Se a Torino chiedi degli operai della Thyssen, ti indicano il cimitero. Bisogna prendere il viale centrale, passare davanti ai cubi con i nomi dei partigiani, andare oltre le tombe monumentali della "prima ampliazione", girare a sinistra dove ci sono i nuovi loculi. Lì in basso, come una catena di montaggio, hanno messo Antonio Schiavone, 36 anni (detto "Ragno" per un tatuaggio sul gomito),morto per primo la notte stessa, Angelo Laurino, 43 anni, morto il giorno dopo come Roberto Scola, 32 anni. Subito sotto, Rosario Rodinò, 26 anni, che è morto dopo 13 giorni con ustioni sul 95 per cento del corpo e Giuseppe Demasi, anche lui 26 anni, ultimo dei sette a morire il 30 dicembre dopo 4 interventi chirurgici, una tracheotomia, tre rimozioni di cute con innesti e una pelle nuova che doveva arrivare il 3 gennaio per il trapianto, ed era in coltura al Niguarda di Milano. Ci sono i biglietti dei bambini appesi con lo scotch, come quello di Noemi per Angelo, ci sono le sciarpe della Juve, mazzi di fiori piccoli col nailon appannato dall'umidità, un angelo azzurro disegnato da Sara per Roberto, quattro figure colorate di rosso da un bambino per Giuseppe, tre Gesù dorati, due lumini per terra.

"Dunque, ero da solo, con la gru in movimento. Il mio lavoro si può fare così. Alla linea 5 invece il turno montante era completo. Mancavano due operai, ma si sono fermati in straordinario Antonio Boccuzzi e Antonio Schiavone, anche se avevano già fatto il loro turno, dalle 14 alle 22. Quella tecnicamente è una linea tecnico-chimica per trattare l'acciaio, temprarlo e pulirlo per poi poterlo lavorare. Stiamo parlando di una bestia di forno a 1180 gradi, lungo 40-50 metri, alto come un vagone a due piani, e lì dentro l'acciaio viaggia a 25 metri al minuto se è spesso e a 60 metri se è sottile, per poi andare nella vasca dell'acido solforico e cloridrico che gli toglie l'ossido creato dalla cottura nel forno. La squadra di 5 operai sta nel pulpito, come lo chiamiamo noi, una stanzetta col vetro e i comandi. Ci sono anche il capoturno Rocco Marzo e Bruno Santino, addetto al trenino che porta il rullo da una campata dello stabilimento all'altra. Manca poco all'una. So com'è andata. Il nastro scorre a velocità bassa, sbanda, va contro la carpenteria, lancia scintille, l'olio e la carta fanno da innesco, c'è un principio di incendio. Loro pensano che sia controllabile, come altre volte.
Escono dal pulpito, si avvicinano, provano con gli estintori, ma sono scarichi. Un flessibile pieno d'olio esplode in quel momento, passa sul fuoco come una lingua e sputa in avanti, orizzontale, è un lanciafiamme. Non li avvolge, li inghiotte. Boccuzzi è proprio dietro un carrello elevatore per prendere un manicotto, e quel muletto lo ripara salvandolo. Vede un'onda, sente la vampa di calore che lo brucia per irradiazione, ma si salva. Gli altri sono divorati mentre urlano e scappano. Piomba in finitura il gruista della terza campata, corri mi dice, corri, è scoppiata la 5, sono tutti morti. Non ci credo, ma si avvicina urlando, è bianco come uno straccio e sta piangendo. Corro, torno indietro, metto in sicurezza la gru, corro, non penso a niente, corro e li vedo".

I tre funerali sono diversi. Prima lo choc, il dolore, la paura. Poi la rabbia. Egla Scola, che ha vent'anni e due figli di 17 mesi e tre anni, in chiesa ha urlato verso la bara di Roberto: vieni a casa, adesso. La madre di Angelo Laurino gli ha detto: ora aspettami. Il padre di Bruno Santino, anche lui vecchio operaio Thyssen, l'abbiamo visto tutti in televisione gridare bastardi e assassini, con la foto del figlio in mano. Il giorno della sepoltura di Rocco Marzo, arriva la notizia che è morto Rosario Rodinò, dopo quasi due settimane di agonia. Ciro Argentino strappa la corona di fiori della Thyssen, i dirigenti dell'azienda entrano in chiesa dalla sacrestia, se ne vanno dalla stessa porta.
Fuori ci sono soprattutto operai, in duomo come a Maria Regina della Pace in corso Giulio Cesare, come nella chiesa operaia del Santo Volto con la croce sopra la vecchia ciminiera trasformata in campanile.
Attorno, il fantasma della Torino operaia che fu. Qui dietro c'erano una volta la Michelin Dora, la Teksid, i 13 mila delle Ferriere Fiat dentro i capannoni della tragedia, poi venduti alla Finsider dell'Iri, che negli anni Novanta ha rivenduto alla Thyssen. Che adesso chiude. Sequestrata per la tragedia, con i cancelli chiusi e un albero trasformato in altare ("ciao, non siamo schiavi", ha scritto un operaio della carrozzeria Bertone), già adesso l'impianto della morte è uno scheletro vuoto, inutile, proprio dove la città finisce e comincia la tangenziale, con le montagne piene di neve dritte davanti. La gente conosce il posto perché lì c'è un autovelox famoso per sparare multe a raffica.
Ma non sa la storia della Thyssen. Ciro Argentino dice che un pezzo di Torino non sapeva nemmeno dei morti, e alla manifestazione c'erano trentamila persone, ma era la città operaia, e pochi altri. Come se fosse un lutto degli operai, non una tragedia nazionale. Anzi, uno scandalo della democrazia. Chi lavora l'acciaio sa di fare un mestiere pericoloso, dice Luciano Gallino, sociologo dell'industria, perché macchine e materiali che trasformano il metallo sovrastano ogni dimensione umana, con processi di fusione, forgiature a caldo, lamiere che scorrono, masse in movimento. C'è fatica, rumore, occhio, tecnica, esperienza, senso di rischio, concentrazione. E allora, spiega Gallino, proprio qui nell'acciaio non si possono lasciar invecchiare gli impianti e deperire le misure di sicurezza, non si può ricorrere allo straordinario con tre, quattro ore oltre le otto normali. Invece l'Asl dice oggi di aver accertato 116 violazioni alla Thyssen. Le assicurazioni Axa lo scorso anno avevano declassato la fabbrica proprio per mancanza di sicurezza, portando la franchigia da 30 a 100 milioni all'anno. Per tornare alla vecchia franchigia, bisognava fare interventi di prevenzione, tra cui un sistema antincendio automatico proprio sulla linea 5, dal costo di 800 milioni. From Turin, ha risposto l'azienda, dopo che Torino avrà chiuso.
"Il primo è Rocco Marzo, il capoturno, che aveva addosso la radio e il telefono interno, bruciati nel primo secondo. Appare all'improvviso, al passaggio tra la linea 4 e la 5. Non avevo mai visto un uomo così. Anzi sì: dal medico, quei tabelloni dov'è disegnato il corpo umano senza pelle, per mostrarti gli organi interni. La stessa cosa. Le fasce muscolari, i nervi, non so, tutto in vista. Occhi e orecchie, non parliamone. Non mi vede, non può vedere, ma sente la mia voce che lo chiama, si gira, barcolla, cerca la voce, mi riconosce. "Avvisa tu mia moglie, Giovanni, digli che mi hai visto, che sto in piedi, non li far preoccupare". Lo tocco, poi mi fermo, non devo. Ha la pelle, ma non è più pelle, come una cosa dura e sciolta. Un operatore di qualità continua a saltarmi attorno, cosa facciamo? Mando via tutti quelli che piangono, che urlano, che sono sotto choc e non servono, non aiutano. Dico di non toccare Rocco, di scortarlo con la voce fuori: gli chiedo se se la sente di seguire i compagni, di seguire la voce. Va via, lo guardo mentre dondola e sembra cadere a ogni passo, mi sembra di impazzire. Mi butto avanti, tutta la campata è piena di fumo nero, bruciano i cavi di gomma, i tubi con l'acido, i manicotti. Vedo Boccuzzi che corre in giro a cercare una pompa, mi vede e mi urla in faccia: "Li ho tirati fuori, li ho tirati fuori. Ma Antonio Schiavone è vivo e sta bruciando lì per terra". In quel momento Schiavone urla nel fuoco. Tre grida. E tutte e tre le volte Toni Boccuzzi cerca di gettarsi tra le fiamme e dobbiamo tenerlo, ma lui ripete come un matto: "Il fuoco lo sta mangiando". Dico di portarlo via, fuori. Mi volto, e mi sento chiamare: "Giovanni, Giovanni". Non ci credo, guardo meglio, non si vede niente. Sono Bruno Santino e Giuseppe Demasi, due fantasmi bruciati, consumati dal fuoco eppure in piedi. Non mi sentono più parlare, non sanno dove andare, in che direzione cercare, sono ciechi. Poi Demasi si muove, barcolla verso la linea 4 tenendosi le mani davanti, come se fosse preoccupato di essere nudo. Mi avvicino e lo chiamo, si volta, chiama Bruno. Guardo la loro pelle scivolata via, non so cosa dire e loro mi cercano: "Giovanni, sei qui vicino? Guardaci, guardaci la faccia: com'è? Cosa ci siamo fatti, Giovanni?"
"Nessuno sa cosa fare davanti a una cosa così. Due compagni di lavoro carbonizzati, e ancora vivi. Uno ha preso due giacconi, glieli ha buttati addosso. "Giovanni aiutaci - dicevano - portaci via".
Ragazzi, ho provato a rassicurarli, l'importante è che siate in piedi, io non so se posso toccarvi, non posso prendervi per mano, ma vi portiamo fuori, vi facciamo da battistrada. Due passi, e trovo per terra Rosario Rodinò, Angelo Laurino e Roberto Scola. Statue di cera che si sciolgono, l'olio che frigge, non c'è più niente, i baffi di Rocco, i capelli di Robi, solo la voce. Mi accoccolo vicino a Laurino, gli parlo. Si volta: "Dimmi che starai vicino ai miei". Scola ripete che ha due figli piccoli, "non potete farmi morire". Rodinò sembra più calmo: "Non pensare a me, io sto meglio, occupati di loro". Poi, quando ritorno da lui mi chiede: "Come sono in faccia? Cosa vedi?" Arrivano i pompieri, poco per volta li portano via. Un vigile mi dice che stanno morendo, ma il fuoco gli ha mangiato le terminazioni nervose, per questo resistono al dolore. Non so se è vero, non capisco più niente, ho quei manichini davanti agli occhi. Prendo un pompiere per il bavero, e gli urlo che Schiavone è ancora a terra da qualche parte, devono salvarlo. Mi dice che lo hanno portato via e che devo andarmene, perché il fumo sta divorando anche me. Stacchiamo la tensione a tutta la linea, blocchiamo il flusso degli acidi, dei gas, dell'elettricità. Tutto si ferma alla ThyssenKrupp, probabilmente per sempre. Non ho più niente da fare".

E' dura morire proprio quando sta per morire la fabbrica. O forse proprio perché la fabbrica è in disarmo. È come per un atleta cadere all'ultima curva. La storia recente della Thyssen di Torino è la storia di tante debolezze. Ciro Argentino, delegato di stabilimento, fa il mea culpa: "Certe volte, per paura di perdere i posti di lavoro, a noi siderurgici può capitare di monetizzare la salute". Come dire che certe volte anche i sindacalisti chiudono gli occhi. Chi poteva fare il difficile durante il fuggi fuggi? Perché dopo l'estate la fuga dalla Thyssen è stata massiccia: "I più qualificati, i manutentori, sono andati tutti alla Teksfor di Avigliana, un'acciaieria a pochi chilometri da qui. Da troppi che eravamo, siamo diventati improvvisamente troppo pochi.
Ciro aggiunge: "Scapperebbe chiunque sapendo che stanno per chiudere la tua fabbrica". Il piano concordato con Fim, Fiom e Uilm prevede la fine delle produzioni torinesi il 30 settembre 2008. Ma il reparto 5, quello dell'incidente, avrebbe comunque chiuso a febbraio. La tragedia ha anticipato i tempi di due mesi e mezzo.
Il fuoco di giovedì notte si è portato via l'élite della laminazione a freddo ("è solo un modo di dire - avverte Ciro - il forno va a mille gradi"). Se n'è andato subito Antonio Schiavone, l'unico "primo addetto" della linea, una specie di capomacchina nel gergo siderurgico. Ieri mattina al Cto è morto il suo sostituto, Roberto Scola. A Genova lotta per sopravvivere il terzo nella gerarchia del reparto, Rosario Rodinò. Moirà per ultimo fra sofferenze atroci, dopo una lunga agonia. Figure preziose di operai qualificati in una fabbrica che si sta svuotando.
La chiusura programmata della Thyssen di Torino sarà la salvezza dello stabilimento di Terni. Una scelta forse inevitabile nella guerra tra poveri che sempre si scatena nelle ristrutturazioni aziendali. Eliminare l'acciaieria di Terni, 3.500 dipendenti, sarebbe stato come far sparire Mirafiori a Torino. Così, un anno e mezzo fa, i sindacati hanno accettato lo scambio: salvare Terni e chiudere la fabbrica da 400 addetti nel capoluogo piemontese. Mors tua, vita mea. Nel passaggio di consegne qualcosa non ha funzionato. La storia la racconta Giorgio Airaudo, segretario della Fiom torinese: "A Terni si è rotto un treno di laminazione. Non si poteva pagare al cliente la penale per la mancata consegna del materiale. Così l'azienda è tornata a utilizzare a pieno ritmo Torino". Questo spiega forse il ricorso agli straordinari forzati delle ultime settimane. Ma far marciare a pieno ritmo una vecchia auto perché la nuova è dal meccanico, può presentare dei rischi. Tutte cose che si scoprono sempre dopo, con l'inutile senno del poi. Storie che si raccontano davanti ai cancelli della fabbrica, in fondo a corso Regina, dove i viali di Torino finiscono e diventano tangenziale.

Appendice 1: descrizione della Linea 5 TKTO
Nello stabilimento TKTO di Torino in particolare nella linea 5 è presente una linea di ricottura e decapaggio per nastri di acciaio inox generati dalla laminazione a freddo. A tal proposito, per maggior chiarezza, verrà trattata una breve descrizione del processo di laminazione. La laminazione a freddo è quel processo atto alla riduzione dello spessore tramite deformazione plastica di lamiere metalliche, a temperatura ambiente. Tali lamiere vengono precedentemente sottoposte a decapaggio e preparate tramite laminazione a caldo. Da questo processo ne conseguono dei lamierini o nastri in rotoli ( coils) particolarmente rifiniti in uniformità e precisione dello spessore. Il macchinario utilizzato per il processo di laminazione è detto "laminatoio" ed è costituito da cilindiri ad assi paralleli che ruotano in senso opposto. Questo esercita un’azione di strozzatura e avanzamento per attrito del materiale accostato ai cilindri.
In figura viene mostrata la struttura più semplice, costituita da una incastellatura d'acciaio, dove vengono alloggiati quattro rulli, due rulli di lavoro comandati elettricamente, che stanno a contatto col materiale da lavorare e due d'appoggio che servono a contenere la flessione dei rulli di lavoro. In particlare nello stabilimento TKTO viene utilizzato un laminatoio tipo "sendzimir".
Tale tipologia di laminatoio a freddo è formato da un sistema di cilindri portanti e consente elevate velocità di laminazione e forti pressioni. I cilindri di lavoro sono molto piccoli e vengono sorretti da un sistema di nove cilindri portanti contenuti nella struttura chiamata " gabbia". La linea n° 5 di Torino è una linea di ricottura e decapaggio per nastri di acciaio inox provenienti dalla laminazione a freddo, a tal proposito, anche alla luce delle implicazioni della laminazione nei fatti per cui è causa, si riporta nel seguito una brevissima sintesi del processo di laminazione. Uno schema d’insieme della Linea 5 si trova negli allegati alla presente relazione.
Chiamasi laminazione a freddo la riduzione di spessore ottenuta per deformazione plastica, a temperature prossime a quella ambiente, di lamiere metalliche preparate in precedenza mediante laminazione a caldo e preventivamente sottoposte a decapaggio, allo scopo di ottenere lamierini o nastri in rotoli (coils) con accurata finitura per quanto concerne l’uniformità e precisione dello spessore.


Fig. 1: Impostazione di base di un laminatoio
Fig. 2: Schema semplificato della disposizione dei rulli in un laminatoio Sendzimir

Un laminatoio è la macchina con cui si effettua il processo di laminazione. È una macchina a cilindri ad assi paralleli, ruotanti in senso opposto, la versione concettualmente più semplice è rappresentata nella Fig.1, e consiste in una incastellatura d’acciaio nella quale sono alloggiati 4 rulli, 2 chiamati rulli di lavoro a diretto contatto col materiale da lavorare comandati elettricamente, e 2 d’appoggio col compito di contenere la flessione dei 2 rulli di lavoro. Un laminatoio esercita un’azione di strozzatura e contemporaneamente produce l’avanzamento per attrito del materiale accostato ai cilindri.
Nello stabilimento TKTO è in esercizio un laminatoio modello Sendzimir. Trattasi di un particolare tipo di laminatoio a freddo dotato di un sistema di cilindri portanti, che consente elevate velocità di laminazione a freddo e forti pressioni. I cilindri di lavoro, molto piccoli, sono sostenuti ciascuno da un insieme di nove cilindri portanti racchiusi nella cosiddetta “gabbia” (Fig. 2).


RICOTTURA E DECAPAGGIO
Nel caso in esame ricottura e decapaggio vengono effettuati su nastri d'acciaio.
Tali operazioni devono esser "continue", ovvero il moto del nastro nella sezione di trattamento deve avere una velocità ben precisa considerando oltretutto che un arresto del moto provocherebbe il danneggiamento del materiale.
Essendo però il nastro conferito e prelevato dalla linea in rotoli di lunghezza finita, le operazioni di conferimento e di prelievo non possono esser continue per natura.
Per ovviare al problema sono presenti delle sezioni di ingresso e d'uscita che operano in maniera discontinua, in modo tale che, la sezione di trattamento, al contrario, lavori con continuità. La ricottura di una lega metallica è quel processo che prevede il riscaldamento, generalmente ad una temperatura inferiore a quella di fusione,seguito dalla permanenza di durata consona e da un raffreddamento graduale, che usualmente avviene in forno.
Da tali processi dev'essere garantito almeno uno dei seguenti punti: un equilibrio chimico, ovvero una riduzione della segregazione minore, un equilibrio strutturale che prevede una riduzione delle strutture o fasi metastabili e un equilibrio meccanico per la riduzione delle tensioni interne, compreso l'incrudimento.
La ricottura viene utilizzata sopratutto per acciaio e rame e rende il materiale più dolce ed
omogeneo in quanto viene alterata la microstruttura del materiale, causando mutamenti nelle sue proprietà come flessibilità e durezza.
Per quanto concerne l'acciaio, questo viene riscaldato sino a raggiungere una temperatura
leggermente superiore a quella di austenizzazione e mantenuto a tale temperatura fino ad ottenere nell'acciaio stesso una struttura austenitica. In seguito si procede al lento raffreddamento in forno. Ciò che consegue a tale procedimento è una rimozione dei difetti della struttura cristallina e inoltre consente di uniformare la composizione chimica dell'acciaio (in questo caso il riscaldamento prevede temperature più elevate e per tempi maggiori).
Il decapaggio invece è un metodo impiegato per eliminare la patina di ossido dai prodotti siderurgici laminati( a caldo o a freddo) tramite un acido o altra sostanza chimica.
I pezzi di acciaio vengono immersi in acido cloridico o solforico in modo tale da eliminare i residui di ossido e ottenere superfici di acciaio puro. In particolare nella linea 5, il nastro laminato a freddo viene sottoposto ad un trattamento termico di ricottura e ad uno chimico di decapaggio in vasche con lavaggi intermedi. La linea 5 è composta da una "sezione di entrata" in cui il nastro proveniente dalla laminazione è svolto. Questa è composta da due tratti paralleli identici che consentono di preparare un rotolo mentre è presente uno precedente in fase di lavorazione e convergono subito a monte della saldatrice.
La sezione di entrata predispone meccanicamente le sequenze di lavorazione dei nastri unendo tramite saldatura la coda del nastro in linea alla testa del nastro in entrata, senza interrompere la movimentazione del nastro nel forno e nelle vasche di decapaggio.
Questa soluzione viene adottata per ridurre la fermata di linea, per la preparazione dei nastri in introduzione e dunque ridurre le dimensioni degli accumulatori (carri di accumulo) situati
successivamente lungo la linea. In particolare ciascuna zona d’entrata è composta principalmente dai seguenti gruppi, individuati con i numeri 1 e 2:
• un aspo svolgitore munito di rullo d’introduzione, che consente di svolgere le bobine da
inviarsi al forno di ricottura una tavola d’imbocco con relativa unghia estraibile
• un rullo raddrizzapiega
• un rullo di passaggio con rullo pinzatore (o rullo deflettore, N° 1)
• una raddrizzatrice
• un secondo rullo pinzatore (N° 2, solo su linea Aspo 1)
• una cesoia intestatrice
• una tavola di evacuazione codacci
• un terzo rullo pinzatore (secondo per la linea Aspo 2)
A valle i due tratti convergono nella saldatrice con punzonatrice. I due tratti di linea sono paralleli e si trovano l’uno sulla verticale dell’altro, nella parte superiore vi è la linea Aspo 1. Le due linee sono spostate in direzione assiale pertanto gli assi dei gruppi non si trovano sulla stessa verticale. Più precisamente il secondo rullo pinzatore della linea Aspo 1, posizionato immediatamente prima della cesoia, si trova sulla verticale della raddrizzatrice Aspo 2.
Entrambe le zone d’entrata sono dotate di sistema di lettura diametro e larghezza bobina, con comando su pulpito locale che permette di effettuare in automatico il centraggio della bobina sul carro. Il sistema dedicato all’Aspo 1 risulta da tempo fuori uso perché danneggiato
meccanicamente, il sistema dedicato all’Aspo 2 è meccanicamente integro, ma anch’esso non
funzionante. Entrambi i fuori uso risalgono ad epoca anteriore all’incendio.
Tutti i movimenti degli elementi menzionati sono azionati idraulicamente tramite circuiti così
composti: stazione di pompaggio (unica per tutti i circuiti), banco valvole, elettrovalvola a due o tre posizioni, tubazioni rigide (in acciaio) e flessibili di raccordo, e attuatore finale (cilindro idraulico o motore idraulico).

Sezioni di accumulo.
Son presenti due sezioni di accumulo, una che precede l'ingresso al forno e una all'uscita della
sezione chimica. Il nastro che in genere ha lunghezza di 1500 m (la lunghezza può essere diversa, in base al suo spesore) si muove lungo la linea per trascinamento.
Ogni rotolo viene saldato testa-coda con il precedente e il successivo così che sia possibile
trascinare lungo la linea vera e propria un nastro continuo. Questo garantisce la continuità delle operazioni nelle vasche e nel forno. Tale operazione e anche l'imbocco dei rotoli sono operazioni discontinue, perciò vi sono delle sezioni di accumulo tra le sezioni di processo vero e proprio, forno e vasche, e le sezioni discontinue di imbocco, svolgimento, saldatura in entrata e avvolgimento e taglio in uscita. In questo modo viene creata una zona detta a "fisarmonica" dove, grazie ad un carro mobile, vengono realizzate ampie spire di nastro che in fase di accumulo, possono essere allungate o accorciate.
Durante la marcia della linea le sezioni d’entrata e d’uscita operano ad una velocità maggiore
rispetto a quella di marcia del nastro nella sezione di trattamento, per fare in modo che il nastro si accumuli nella sezione d'accumulo, ad esempio per essere lavorato quando la sezione d'entrata è arrestata, per imboccare e saldare un nuovo rotolo. Nota 5 La fermata del nastro nel forno provoca il surriscaldamento del materiale e ne compromette le caratteristiche meccaniche, la fermata del nastro nelle vasche è motivo di corrosione, in entrambi i casi il prodotto è di scarto.

Sezione forno, alimentato a metano, in cui il nastro nel passaggio subisce il trattamento di ricottura a 1180 °C tramite riscaldamento a fiamma diretta e successivo raffreddamento. La sezione del trattamento termico ha la funzione di restituire al materiale incrudito, proveniente dalla laminazione, la sua struttura cristallina originaria, e quindi di rilasciare le tensioni residue accumulate.

Sezione raffreddamento, divisa in due zone:
A. Raffreddamento ad aria, immessa tramite ventilatore e diretta sulla superficie del nastro, la stessa aria è poi convogliata ed emessa tramite impianto di aspirazione.
B. Raffreddamento ad acqua, dove tramite ugelli è spruzzata dell’acqua direttamente sulla
superficie del nastro.

Sezione chimica o di decapaggio, dove in apposite vasche, i nastri sono decapati, allo scopo di asportare lo strato superficiale di ossido e di passivarne la superficie. La prima vasca lavora con una soluzione acquosa di Na2SO4 a 180 g/l ad una temperatura massima di 85 °C. Il sistema opera a circuito chiuso, nella vasca è presente costantemente un volume di circa
30 m3 di soluzione, tramite un troppopieno la soluzione in esubero è scaricata in parte verso uno sfangatore ed in parte in due serbatoi della capacità di 50 m3, collegati a 2 pompe di rilancio le quali inviano la soluzione alla vasca di decapaggio.
Dopo la prima vasca la superficie del nastro è spazzolata e lavata con acqua per eliminare i residui della soluzione appena utilizzata.
Nella seconda vasca si effettua la passivazione ad una temperatura di 65 °C, con una soluzione acquosa di HF, H2SO4 e H2O2, la concentrazione del primo è compresa tra 0,5 e 3,5 % il secondo ha una concentrazione massima del 16 %. All’interno della vasca vi sono degli ugelli spruzzatori che inviano la soluzione su tutta la superficie del nastro. La soluzione defluisce tramite tubazione in un serbatoio sottostante di circa 30 m3 nel quale è installata una pompa che rilancia la soluzione agli spruzzatori della vasca formando un circuito chiuso.
Successivamente, il nastro subisce una spazzolatura meccanica unitamente ad un lavaggio a spruzzo mediante acqua demineralizzata, per eliminare i residui della soluzione appena utilizzata.
La preparazione dell’acqua demineralizzata avviene mediante l’utilizzo dì resine anioniche e
cationiche che trattengono tutti gli ioni presenti nell’acqua. Le resine sono rigenerate
periodicamente mediante acido cloridrico per le resine cationiche e soda caustica per le resine anioniche. Sezione di uscita Successivamente alla seconda sezione di accumulo, nella sezione di uscita il nastro è riavvolto su aspo. Al fine di evitare il contatto tra le superfici metalliche delle spire, che danneggerebbe la superficie del materiale, è interposto alle spire di acciaio un nastro di carta.
La linea 5 riceve nastri di acciaio provenienti dalla laminazione a freddo, dove è usato come liquido di raffreddamento e lubrificazione un olio minerale con caratteristiche del tutto simili a quelle di un kerosene (così sarà indicato nel seguito questo tipo di olio), liquido infiammabile con flash point attorno ai 140-150 °C. I nastri, al termine dell’ultima passata sono avvolti sull’aspo avvolgitore, interponendo tra le spire un foglio di carta in modo da evitare la possibilità di graffi sulla superficie del nastro, che deve già avere le caratteristiche di finitura del prodotto commerciale. Quando le bobine sono poste in lavorazione sulla linea di decapaggio, la carta interposta è riavvolta su un aspo avvolgitore, in modo da processare il solo nastro di acciaio. Talvolta le condizioni di lavoro del laminatoio possono causare una adesione eccessiva della carta sul nastro inox. I fattori che influenzano il fenomeno sono molteplici, tra cui il kerosene più o meno esausto, la percentuale di additivi aggiunti al kerosene, la tensione del nastro sull’aspo avvolgitore del laminatoio, la temperatura del nastro a termine laminazione, che se troppo elevata provoca l’evaporazione del kerosene con conseguente adesione della carta. A causa dell’adesione, non sempre è agevole rimuovere totalmente la carta presente sulle bobine. Se questa aderisce al nastro d’acciaio, al momento del suo svolgimento può strapparsi. In questo caso la carta, non più avvolta sull’aspo avvolgitore, prosegue lungo la linea assieme al nastro, avanzando sulla linea di ricottura. In tal caso può staccarsi dal nastro e accumularsi lungo la linea (p.es attorno ai rulli e/o alle briglie) o per terra, o addirittura può avanzare fino al forno, dove ovviamente brucia.
Le bobine possono avere residui di kerosene variabili, che se in quantità superiore a quella assorbita dalla carta, provocano sgocciolamenti soprattutto durante le fasi di svolgimento, pertanto è frequente che il kerosene vada a depositarsi sul pavimento dell’area interessata dallo stoccaggio, dai carri di carico bobine e dagli aspi svolgitori.
La Linea 5, come tutte le linee di ricottura e decapaggio, opera a ciclo continuo, con fermate
programmate per effettuare la manutenzione. La continuità delle operazioni è necessaria perche il nastro deve permanere all’interno del forno (ad alta temperatura) e nelle vasche di decapaggio (dove è sottoposto ad attacco acido) per un periodo di tempo preciso, che non deve essere in nessun caso superato. Questo invece avverrebbe se il moto del nastro si interrompesse, con la conseguenza che le porzioni di materiale all’interno del forno o nei bagni devono essere scartate. Questa è la ragione sostanziale per cui sia i tecnici di linea che, ovviamente, la direzione aziendale, erano restii a fermare l’impianto per eventi non ritenuti di vera emergenza (piccoli incendi di carta).

Appendice 2: rilievi fotografici in occasione del sopralluogo effettuato presso la TKTO
Le immagini vengono volutamente lasciate prive di didascalia, poichè l’autore non ritiene sia
necessario: esse parlano da sole